domenica 26 settembre 2010

Ciò che scompare.

In molti ambiti, in particolare sulla stampa tradizionale, sembra che parlare di Internet coincida sempre più con il parlare di Facebook. Oppure che sia ancora possibile parlarne in termini più generici ma attribuendogli comunque i caratteri che sono propri di Facebook, e identificandolo con dinamiche che sono proprie di quel network. Il problema principale sembra essere il permanere di dati ed informazioni nel lungo periodo, oltre il periodo temporale in cui la loro presenza aveva un senso. Tutto rimane, e tornerà a perseguitarti quando meno te lo aspetti; per cui, attenti. Ne ha parlato anche Obama, per dire. Questioni pesanti. E decisamente ingigantite e sopravvalutate, aggiungerei. In una certa misura fittizie, perfino: non è vero, in molti casi, che le tracce non possano essere cancellate e che ciò che viene pubblicato finisca al di fuori del nostro controllo. Infine, non si tratta di qualcosa di nuovo: è una dinamica che è sempre esistita anche nella vita nelle comunità reali. Le informazioni rilasciate circolano in ambienti più grandi di quelli a cui le avevamo indirizzate, e hanno tempi di smaltimento più lunghi di quanto potessimo immaginare. Non si presenta quindi la necessità di mettere in guardia qualcuno da insidie nuove e impreviste: i rischi, quando esistono, e quando sono rilevanti, erano già presenti nella quotidianità e chi rischia di incapparci era già in precedenza in qualche modo inadeguato a situazioni che poteva vivere nella vita reale. Si tratta di persone che non hanno mai saputo cogliere uno degli aspetti fondamentali della comunicazione umana: il suo svilupparsi attraverso diagonali asimmetriche. Concediamo a persone diverse di conoscere la nostra identità a gradi diversi per qualità, profondità, estensione; proprio registrando e adattando queste asimmetrie possiamo dare ordine e orientamento alle nostre relazioni sociali, tenendole sotto il nostro controllo. Non ci si deve fare un'idea troppo negativa del fenomeno, come se ci nascondessimo dietro molte maschere, scelte di volta in volta sulla base dell'interlocutore. Il concetto di maschera è sopravvalutato, in sociologia. Semplicemente la nostra identità è estesa e multiforme e quasi mai riesce a manifestarsi interamente; a seconda delle situazioni scegliamo quindi quale parte di essa è possibile ed adeguato esporre.

Mi sembra molto più interessante il tema opposto. Ciò che da Internet scompare. Sono sicuro che da questo argomento si potrebbero tirar fuori dei validi racconti. Alcune cose da Internet vengono cancellate, con il tempo; ne derivano grossi rammarichi. Ne siamo venuti a conoscenza troppo tardi, non in tempo per poterne usufruire. Oppure, proprio sulla base di quella presunzione di conservazione per tempi indefiniti che è sempre più diffusa, le avevamo lasciate in stand-by, consultandole di tanto in tanto, in modo frammentato, a piccoli grappoli, contando su una loro costante presenza. A saperlo, c'avremmo messo più impegno. Due esempi personali: il blog di qualcuno prima che vincesse il campionato del mondo (c'entrava il cristallo, credo) -troppo tardi; il blog della Came su Splinder, il miglior blog personale che abbia mai avuto modo di leggere -saltuariamente-, capace di coinvolgere, turbare, impensierire e lasciare ombre ed aloni -quanti post persi e quante occasioni. Rammarico, dicevamo.

Some dozens of lost sleep hours can't be wrong.

(adattandomi all'etichetta, metto educatamente qualche avviso preliminare. Il post è una recensione della serie tv Weeds, anche se poi per la maggior parte dello spazio parlo d'altro. Forti e diffusi rischi di spoiler. Riflessioni alla luce delle stagioni 1-4, non ho ancora avuto modo di vedere la 5 e l'inizio della 6. Anche se nel post non ne parlo, la serie ha una colonna sonora eccezionale, la migliore dopo Californication, finora.)

Weeds è una serie molto bella. Non è certo la frase più accattivante con cui iniziare una recensione, me ne rendo conto, per almeno un paio di motivi. Primo: se voi ed i vostri amici siete appassionati di serie televisive avrete già avuto modo di vedere Weeds, o di sentirne parlare. In caso contrario, di sicuro non è con frasi del genere che catturerò la vostra attenzione e riuscirò a convincervi. Secondo: bello non è un aggettivo molto esplicativo per cercare di descrivere qualcosa, ed è, anzi, molto infantile. Richiama quel periodo, da bambini, quando tutto si riduceva alla dicotomia bello/brutto ed il mondo era tutto compreso trai limiti orientali ed occidentali di queste due parole, e al massimo si poteva espandere a nord e sud secondo la linea buono/cattivo (ad arrivarci, a buono/cattivo; non è così semplice). Il punto è che quando penso a Weeds, finisco sempre per farmi venire in mente la bellezza. Non tanto perché il cuore della serie sia un qualche fine estetico, o perché ciò che la distingua sia una qualità formale insolita. Semplicemente, ho più di un sospetto che l'eventualità di apprezzare la serie e soprattutto la misura in cui questo possa avvenire, alla fin fine, siano legate imprescindibilmente al rapporto che ognuno di noi ha con la bellezza. Quindi, per cercare di sponsorizzarvi questo telefilm, il modo migliore mi sembra quello di lasciare perdere -per il momento- qualsiasi analisi di caratteristiche, vizi e virtù del prodotto e spiegarvi che tipo di persone dovete essere, per avere maggiori possibilità di appassionarvici.

Sulla base della mia esperienza (sì, è ben poca cosa, lo so, ma è tutto quello che io ho e, comunque, non è ancora finita) le persone possono essere identificate in cinque categorie, sulla base del proprio rapporto con la bellezza. Iniziamo dai due estremi. Con una piccola avvertenza: non è questo un caso in cui si possa dire che la virtù stia nel mezzo e che i due limiti rappresentino condizioni radicali indesiderabili; sono convinto anzi che molti alla fine le troveranno delle situazioni ideali e crederanno -o spereranno- di esservi compresi.

Asceti. Ci sono persone che non sono interessate alla bellezza. La bellezza li lascia in fin dei conti indifferenti, non procura loro particolare godimento e quindi sono portati a non costruire alcun rapporto con essa. Ad alcuni potrà sembrare una prospettiva arida, ma lo trovo un giudizio superficiale; quelle persone hanno semplicemente altre priorità. Altri potrebbero vederla come una scelta ascetica; con ogni probabilità è solamente pragmatica.

Eletti. Alcune persone sono attratte dalla bellezza naturalmente, come per una sorta di magnetismo. Non hanno bisogno di interrogarsi sul senso e sulla natura della bellezza, di riflettere su quale posizione adottare riguardo ad essa, di dannarsi nella sua ricerca; il rapporto che instaurano con la bellezza è pre-intellettuale, non mediato da ragionamenti. Si tratta di persone che provano una sensazione estatica davanti ai lavori di El Greco -una sorta di vampata che lascia un piacevole e persistente tepore-, che abbracciano con morsi lineari la pienezza del sapore di un carpaccio di salmone, che riconoscono il vino buono senza etichette o menù, e senza sentire il bisogno di catalogarne il profumo, il corpo, il colore. È facile intuire che questa passi per essere una categoria eletta e che ognuno di noi -noi che ovviamente non ne facciamo parte- cerchi di barare con se stesso per convincersi di farne parte. Non è nemmeno così difficile, illudersi, perché la maggior parte delle persone comuni riesce a vivere momenti del genere, a volte perfino con frequenza. Ma che si tratti, per essi, di un'illusione è sicuro, per tre elementi.

A) Esperienze del genere sono per loro sporadiche, episodiche -non già costanti e organiche. Per far parte di questa categoria è necessario cogliere l'ordito di bellezza che circonda ognuno di noi, nella sua interezza, non è sufficiente notare dei dettagli sparsi qua e là.

B) Manca, in questi casi, la naturalezza e l'istintività dell'esperienza. Mai capitato di inserire nel lettore una pietra miliare del jazz con la ferma intenzione di farvelo piacere? Mai sentito l'esigenza di richiamarvi alla mente, durante la visione di un film della Nouvelle Vague, tutti i validi motivi per cui dovete apprezzare profondamente la caratterizzazione dei personaggi e le atmosfere abbozzate? Oppure, vi è familiare l'avvertire un'urgente necessità, dopo un momento di godimento estatico, di tormentarvi con l'esigenza di capire e analizzare quanto vi è accaduto, sviscerandolo in ogni suo elemento? Benvenuti nel club.

C) In virtù del loro rapporto con la bellezza, le persone incluse in questa categoria riescono ad avere una presa forte, ed al tempo stesso tranquilla, su questa, quando la incontrano. Non è mai successo che, una volta afferrata, sia scappata loro tra le dita. Potete dire altrettanto?

Finora si è trattato di fasce a bassa densità, e persone di questo tipo sono rare. Se contate sulle dita pensando alle vostre conoscenze, è difficile che riempiate entrambe le mani; le tre categorie rimanenti sono, in un certo senso, più comuni. Condividono un elemento: comprendono persone che avvertono fortemente l'esigenza di cercare, individuare e poi trattenere nel proprio spazio, nella propria vita, la bellezza. Avvertono questa esigenza perché la bellezza non è per loro neutra, indifferente, ma è preziosa, attribuiscono ad essa un gran valore. Al tempo stesso non la riconoscono fluire attorno a loro senza aver prima strizzato gli occhi e agitato un braccio un po' alla cieca. Inutile dire che l'essere presi da questa frenesia, nel bisogno e nella ricerca, produce un senso più o meno accentuato di malessere. Ciò che le differenzia è il risultato ottenuto con una simile ricerca.

Conformisti. Delle persone, nonostante gli sforzi febbrili e l'impegno profuso, non riescono a trovare, attorno a loro, alcun tipo di bellezza. Rimangono però convinte che una qualche bellezza debba comunque esistere, sebbene a loro non sia possibile identificarla, e che sia vitale per il loro benessere avere comunque la possibilità di entrarne in contatto. L'unica strada disponibile è quindi quella di accettare e fare propri i risultati della ricerca altrui; ciò è possibile affidandosi ad alcuni individui verso cui si nutre un sufficiente grado di fiducia o di ammirazione oppure -con una scelta in linea con lo spirito del tempo in cui viviamo- riponendo la propria fiducia nella maggioranza. In entrambi i casi questo meccanismo rappresenta una sorta di conformismo ed i rischi che i risultati non siano soddisfacenti sono sempre molto alti. Ad alcuni le persone comprese in questa categoria finiranno per sembrare sterili; ancora una volta, a me sembra un giudizio troppo affrettato.

Kitsch. Credo non vi sarà necessario nessuno sforzo per figurarvi questa categoria: sventurati che hanno perso la rotta, nel viaggio, contando su una bussola non ben tarata. Si sono fatti guidare dal cattivo gusto ed i risultati sono evidenti e -spesso- grotteschi.

Feticisti. Ho l'impressione -nei miei momenti migliori, in cui nutro grandi speranze per l'umanità, e mi rifiuto di credere che la categoria precedente abbia vinto nella selezione naturale- che questa sia la categoria di persone più diffusa ma c'è il rischio che sia fregato dalla convinzione di farne parte. Queste persone riescono, nella maggior parte dei casi, a sviluppare un rapporto con la bellezza per molti versi migliore rispetto alla terza ed alla quarta categoria e nutrono la ferma ma inutile aspirazione di poter approdare, magari un giorno, al gruppo degli eletti. Per il momento devono accontentarsi di essere riusciti più di chiunque altro a portare avanti riflessioni di alto livello sulla bellezza. Il problema, per loro -ammesso che si tratti di un problema-, è che il riconoscimento della bellezza passi attraverso una ricerca formale ed intellettuale, che si basi sull'astrazione, sull'analisi e non su un esperienza diretta e concreta. In questo percorso, l'oggetto incarnante la bellezza viene individuato non per la sua natura intrinseca ma attraverso alcune caratteristiche, attraverso alcuni dettagli. Questa parzialità comporta alcuni rischi e può portare ad un certo numero di derive. È possibile, ad esempio, che il ruolo fondamentale che i dettagli vengono a svolgere faccia sì che la fonte del godimento estetico diventi i dettagli stessi e non l'oggetto che li presenta: il feticismo in senso stretto. Oppure, essendo molto più facile notare i dettagli quando questi manifestano un alto grado di particolarità, di eccentricità, si possono sviluppare criteri di scelta via via più insoliti, incomprensibili agli altri, che finiranno per essere giudicati anomali, malati, perversi. Lo stadio terminale di questa deriva -di questa potenzialmente profonda deriva- è diventare poeti decadentisti francesi.

Se mi avete seguito fino a questo punto, veniamo ora a Weeds. Tutto quello che posso dirvi, per la mia esperienza personale, è che le possibilità che vi appassionate alla serie sono infinitamente maggiori se credete di riconoscervi in quest'ultima categoria. Se è così, posso dirvi con una buona possibilità di esattezza come si evolverà il vostro rapporto con la serie. Sarete catturati dalla prima puntata: le sue atmosfere, la presentazione dei personaggi e, oh, i dialoghi. Mi è capitato davvero raramente, anche nelle pagine più alte della letteratura, di incappare in un capitolo in cui la costruzione dei dialoghi fosse semplicemente perfetta: il modo in cui questi si sviluppano e si incastrano tra loro; la pluralità e la luminosità degli stili; il dipanarsi del ritmo con cadenza perfetta; ciò che le parole lasciano trapelare sulle persone che le hanno pronunciate, quello che viene svelato, quello che resta celato. L'infatuazione peggiorerà nel corso della prima serie (forse anche della seconda, almeno in parte), nonostante i difetti incombenti e i rischi sempre più probabili di deriva che si stanno avvicinando attraverso tunnel sotterranei e di tanto in tanto escono allo scoperto -le avvisaglie ovviamente sono presenti già nella prima puntata. Arriverà il momento, in tempi diversi per ognuno di voi, ma verosimilmente tra la seconda e la terza serie, in cui tutto diventerà troppo evidente e sarà ovvio che la serie sta prendendo una brutta strada; a questo punto però vi sarà molto difficile abbandonare questa serie tv a se stessa e con ogni probabilità vi ritroverete ad amarla nonostante i suoi difetti. Se sarà questo il caso, arriverà anche il momento successivo in cui dovrete confessare a voi stessi che, anche se non sapete bene quando è iniziato, e non riuscite a comprenderne i motivi, è semplicemente successo e, beh, è finita che avete iniziato ad amare Weeds per i suoi difetti. Fregati. Se volete una mia spiegazione al riguardo, si tratta dei due punti richiamati prima, nella quinta categoria. Avete finito per apprezzare particolari via via più eccentrici e sbagliati fino a sviluppare un certo feticismo per questi.

Che Weeds sia piena di difetti, penso sia fuori da ogni dubbio. Prendete i personaggi. Se l'abilità nel creare personaggi si mantiene anche nelle ultime stagioni a livelli insolitamente alti -si nota un certo appannamento, questo sì, ma è inevitabile ed endemico quando il ritmo delle nuove entrate diventa vorticoso ed il loro numero mastodontico- la loro gestione è per molti versi discutibile: ognuno di voi avrà motivo di lamentarsi per gli sviluppi di alcuni dei suoi personaggi preferiti (tanto per citare qualche caso, Guillermo e Shane) e, soprattutto, per la prematura uscita di scena di personaggi promettenti, che presentavano ancora ampie potenzialità non sfruttate -dicevo che i primi sentori c'erano già nella prima puntata, basti pensare alla figlia maggiore di Celia o allo spacciatore ragazzino, che avranno in seguito nutrita compagnia.

C'è ovviamente il nodo centrale della protagonista: una vera smorfiosa. Ma, ehi, quand'è che essere smorfiosi ha acquisito un'accezione così negativa? L'uso smodato e sfacciato della mimica facciale e corporale dovrebbe essere rivalutato: si tratta di un modo di esprimersi molto efficace e accattivante (noi italiani ne sappiamo qualcosa, giusto?). Il personaggio abbina a questa caratteristica uno snobismo strisciante e una accentuata capacità di finire a fare la parte della stronza: anche qui, prendiamo a martellate i conformismi che ci portano a svalutare queste caratteristiche, e avviamo la loro rivalutazione. Ovviamente, è decisamente probabile che a finire per etichettare la protagonista come smorfiosa siano le donne, per invidia. Voi, uomini, ve ne innamorerete, fidatevi di me.

Infine, non si può parlare di Weeds senza fare un accenno alle stoccate su temi politici e sociali di cui ogni puntata (o quasi) è infarcita. Forse il tratto più caratteristico della serie. Potete scommetterci sopra, su quali argomenti verranno trattati; tanto la vittoria è certa -ogni questione trova il suo posto al sole. Omosessualità? C'è bisogno di chiederlo? Iraq? Tutte le strade portano a Baghdad. Eutanasia? Saremmo proprio scemi a lasciare indietro i bocconi più gustosi. Immigrazione? Certo, sono i nuovi muri, ed il ferro dei nostri picconi è ancora bello caldo -e poi questa volta ci apriamo la strada verso tortillas e guacamole, mica bratwurst. Aborto? Beh, per forza, fa pendant. Corruzione, ipocrisia e alcolismo tutte cose endemiche, ovviamente ce le mettiamo. Questi temi verranno affrontati in modi sempre più spicci, liquidati con un'adeguata dose di superficialità e si faranno strada e seguiranno uno l'altro con ritmi ridicoli e senza nemmeno prendersi la briga di coprire la faziosità dell'operazione. Ma anche qui, ognuno potrà trovare la propria razione di conforto: nel senso di granitica superiorità con cui le posizioni progressiste sono presentate, nel caso in cui le si condividano; nella banalità con cui queste sono liquidate, nel caso in cui si sia più cinici e disincantati.

Fate quindi una scorta di pazienza, se volete dedicare parte del vostro tempo a questa serie. Si tratta di un figlio molto inquieto, che prenderà una brutta strada dopo l'altra, e finirete a passare svegli molte nottate, a controllare se il figliol prodigo si è finalmente deciso a tornare a casa, arrivando all'alba sempre più delusi e preoccupati. Ma la sera successiva sarete ancora lì a fare la guardia, pronti ad allargare le braccia colmi di perdono. Aspetteremo molto tempo, voi ed io, e continueremo sempre a nutrire la speranza, nonostante i pessimi presagi. Tornerà, prima o poi. Ci ritroveremo di nuovo. L'anno prossimo, la prossima stagione, a Gerusalemme. Preparate il barbecue, il vitello grasso e la birra; si festeggia così nei sobborghi giudeo-americani.

Imparare a gestire gli addii.


C'è stato un tempo in cui stavo con qualcuno che in quella foto sembrava un'attrice francese, di quelle che a voler accarezzare loro i capelli ti riempivano le mani, e non bastava, perché c'erano molti altri ancora.

sabato 25 settembre 2010

Strategie.


Mi chiedo se qualcuno si chieda come tiro avanti in questo periodo. E' una cosa in fondo risaputa che ho bisogno di aggrapparmi ad un certo numero di cose, più di altri; e non è che sia rimasto molto adatto allo scopo ultimamente.

Beh, faccio come ho sempre fatto, solo con maggiore consapevolezza. Coi feticci; sempre avuti, e sempre stato capace di farmene di nuovi. Ora succede anche che alcuni tornino dal passato.

Uno dei crinali di differenziazione più resistente, e più ripido, nel mondo contemporaneo, è quello che separa gruppi di persone con diverso grado di accesso alle reti di comunicazione e informazione. Un certo numero di linee, come isobare, dall'andamento geografico molto più imprevedibile di quanto si possa immaginare. Sufficiente, per lo meno, a rendere estremamente friabili le dicotomie classiche -nord/sud, occidente/resto del mondo. Ho sempre avuto il difetto di ritrovarmi invischiato in luoghi non troppo favorevoli, da questo punto di vista. Giusto oggi ho riacciuffato la possibilità di guardare La7 -già sono tagliato fuori da Sky, vuoi mai che rimanga lontano dal quarto polo, vista la penuria. La conquista maggiore è il ritorno di Lilli Gruber. Lilli Gruber è un grande feticcio, di quelli che valgono per tre o quattro normali. C'era Lilli, con il muro, e pazienza se non ho dell'evento ricordi diretti, anzi, ancora meglio: è come fosse mitologia. Votato Lilli, in una delle primissime occasioni in cui ho avuto modo di farlo: erano le europee, e giusto i mesi in cui stavo abbandonando le posizioni più estremiste, scambiando il radicalismo con il liberalismo, il massimalismo con il riformismo. Giusto il momento in cui mi sono accampato attorno i Ds, prima di passare oltre, verso lo Sdi. Lei e Costa, quella volta. Mi è sempre piaciuta molto anche fisicamente, Lilli: un archetipo così valido delle donne che mi hanno sempre attratto, con la loro forte carica di fascino, ma talmente atipica da non essere per nulla universalmente riconosciuta, e che si manifesta sempre per vie traverse e molto tortuose. E poi è arrivata ad Otto e Mezzo, e anche quello lì era sempre stato un feticcio. La trasmissione, ma anche il suo ideatore -si perde il conto delle occasioni in cui ho trovato le sue posizioni insostenibili, e le argomentazioni a sostenerle ridicole, ma gira gira va sempre a finire che ogni sua iniziativa editoriale merita di essere seguita. Delizioso il suo fiuto per la spalla da scegliersi -anche lì, Luca Sofri, il feticcio dei feticci, ma durante quell'edizione, La7 non avevo modo di vederla.

E' tornata Lilli e anche questa è una cosa a cui aggrapparsi. E no, non desisto solo perché non sei più rossa, e perché per questo nuovo incontro hai invitato Scalfari: resisto anche a questo.

(A proposito di feticci: preso la raccolta di saggi "Cambiare idea" di Zadie Smith. Uno è sull'enorme carisma di Obama, pare; un altro su quanto David Foster Wallace fosse uno scrittore fenomenale. Ecco, qui dei limiti ce li ho: mi sa che non riesci a convincermi in nessuno dei due casi.)

giovedì 23 settembre 2010

La stagione delle belle cose.

Di nuovo i talk show politici in tv, da seguire in modo frammentato la sera tardi. Tra poco è di nuovo tempo delle calze, in giro per le strade. Si respira finalmente aria di autunno -era ora, c'era mancata questa stagione.

Ora davvero mi rimbocco le maniche -per quanto sia possibile a me- e ne vengo fuori, da questa maledetta tesi.

(Tanto questa strada è lastricata, più che di buone intenzioni, di saggi molto interessanti.)

Dovrei mettere nella lista delle cose da fare anche essere più presente per qualche persona e tenere questo blog un po' più curato ma c'è tempo.

domenica 12 settembre 2010

Cioè che è giusto è giusto

Bisogna essere pronti a riconoscere i meriti altrui, anche al di là delle antipatie personali. Soprattutto di fronte a grandissime carriere. Voglio dire, ha fatto un mucchio di cose importanti. Ha lanciato Uma Thurman, è stato con qualcuno che, sono sicuro, non si meritava minimamente.