sabato 30 aprile 2011

Se avete perso

L'ultima lezione di Diplomazia.

giovedì 28 aprile 2011

Macchie della storia

Chinaglia si è ben guardato dal giocare nel Frosinone, ma non si è fatto problemi a finire nei New York Cosmos.

mercoledì 27 aprile 2011

Necrologi e arringhe.

Ormai ci sono più parole di Zadie Smith che mie, qui. Ma questa volta è per avvisare che ho raggiunto il livello ultimo di ossessione per un autore. Non ci sarebbe bisogno di ricordare che questo livello non può, giocoforza, essere oggettivo. Non è quindi quando compri l'ultimo libro mancante, e hai tutto quello che è stato pubblicato in italiano di suo. Non è quando hai letto tutto quello che è stato ecc. ecc. (anche perché a me manca qualche centinaio di pagine, per arrivarci). Non è nemmeno quando inizi a prendere in seria considerazione di procurarti, di qualche opera, la versione in lingua originale per scoprire com'è veramente, originariamente, quel passo che hai tanto amato, per il tuo piacere personale (soprattutto se sei in attesa che esca qualcosa di nuovo) e per un'idea sgangherata di rispetto per l'autore.

E' quindi qualcosa di soggettivo. Ma anche qui ci sono parecchi gradi. Non è quando scopri che in quella frase o in quel passaggio l'autore/trice ha espresso esattamente quello che pensi tu, riguardo l'argomento in questione, in un modo così chiaro e preciso che a te non sarebbe mai riuscito (non si può dire più correttamente di così, cit.). O quando addirittura lo dice con le parole che useresti tu (che credi useresti tu). E non cambia niente quando in questo giochino raggiungi i cento punti. Non è nemmeno quello. Non è quando (inizia ad essere irritante, ma seguitemi ancora un attimo) ti capita di sentire, per qualche personaggio, un grado di preoccupazione, di ansia e di empatia più grande di quanto ti sia mai capitato per un numero non indifferente di persone reali che conosci. Di persone a cui vuoi bene, perfino!

E' quando ti ritrovi convinto che quello, la persona in quel determinato passaggio, sei tu. Non è un pensiero che hai avuto. Nemmeno il pensiero più importante che tu abbia mai avuto. Non la tua idea del mondo, la tua filosofia, la tua ideologia. Non una persona che ti sembra più vera del vero, e qualcuno a cui ti affezioni, e che se potessi ti ci aggrapperesti di peso, con egoismo, per trattenerlo nella tua vita più a lungo possibile. Sei tu. L'autore ha messo te in un suo libro. Se riuscissi a recuperare almeno un briciolo di ragionevolezza, in tutta questa follia, potresti laicamente rallegrarti all'idea che in una piccola sfaccettatura, in un momento, l'autore sia stato così simile a te. Oppure che quel genere di persona, il genere di persona che tu sei, ha fatto breccia tra le sue conoscenze, le sue amicizie, ne ha fatto esperienza, ed eccola rielaborata su pagina. Potresti goderti la convinzione -ora assolutamente provata- che in altre circostanze saresti potuto perfino essere amico di questo autore. Ma non lo fai. E' il culmine dell'esaltazione e non è ammessa nessuna forma di scetticismo e nessuna concessione al buonsenso. Quello sei tu.

(visto che ormai nessun piacere è più pieno e perfetto -ah, i buoni piaceri di una volta- arriva il lato amaro di questa rivelazione. Ripensi alle occasioni in cui, di queste epifanie, sei stato testimone. Quando è capitato ad altri, con altri autori. Ti torna in mente tutto il fastidio -e quella punta di disprezzo- che hai provato. Te ne penti, sinceramente.)

"Il minimo che può fare, al cospetto di quel genere di autentiche palle (le palle di chi si è suicidato, ndb. Corsivo già presente nel testo), è diventare egli stesso una persona di peso. Alla rotatoria, in attesa del momento opportuno per attraversare, Alex cerca di immaginare il discorso che potrebbe pronunciare in propria difesa se la sua vita fosse messa sotto accusa, se cioè fosse costretto a dimostrare di valere qualcosa. E' una specie di testo immaginario che si porta sempre dietro, assieme al proprio necrologio, perché da qualche parte nella testa di Alex egli è la persona più grande e famosa mai vissuta su questa terra. E in quanto tale, deve difendersi dalla maldicenza non meno che dall'oblio. Chi potrebbe farlo, altrimenti? In fin dei conti, Alex non ha fan."

Zadie Smith ne "L'uomo autografo".

venerdì 15 aprile 2011

Una corona per ogni menestrello

Nell'ultima settimana sulla stampa internazionale è tornato in auge il tema del ruolo pubblico ed etico dell'artista. Non tanto per un rilancio del dibattito teorico su quale sia, o debba essere, questo ruolo, quanto piuttosto una grande enfasi su una manciata di casi concreti e di polemiche. Dei concerti cinesi di Dylan e della sua accettazione di una (ancora difficile capire se effettiva o presunta) censura da parte della autorità della scaletta si è occupata in pratica tutta la stampa anglosassone. L'edizione inglese dello Spiegel ha invece pubblicato una lunga intervista all'architetto Meinhard von Gerkan. In entrambi i casi, si parla di Cina - una buona dose della mia obiettività va a farsi friggere.

Per chiudere la questione Dylan sarebbe più che sufficiente richiamare un intervento su un blog del Guardian. Quello che scrive Jonathan Jones merita di essere letto fino in fondo, ma già alcune frasi del primo capoverso rispondono più che a dovere a tutte le polemiche nate. "What a lot of nonsense: if you thought Dylan would ever take an obvious political line you haven't been following him carefully enough." "It's understandable for human-rights campaigners to wish for public support from Dylan. It is obtuse, however, for them to suggest that he is somehow betraying his own values as a political songwriter by not protesting."

L'intervista di von Gerkan merita invece un numero maggiore di citazioni. In parte perché è lecito credere che abbiamo avuto minore diffusione degli articoli su Dylan; in parte perché quello che l'architetto dice -non sempre in modo posato e lucido, a tratti spazientito dall'intervistatore- è spesso condivisibile e sempre interessante; in parte infine perché l'intervista nel suo insieme è un buon esempio di qualcosa che penso da molto ma che generalmente è difficile sostenere a dovere: se siamo sempre pronti a deprecare lo scarso servizio offerto da giornalisti ed interviste eccessivamente timidi e assoggettati, bisognerebbe al tempo stesso rivedere l'idea del giornalista come un cane ringhioso, che fa il suo dovere solo se si arma di insistenza oltre ogni limite, rifiuto sprezzante di ogni assoggettamento all'intervistato, una buona dose di malizia.

Alcune frasi di von Gerkan:

"Instead of bringing calm to the situation, actions like Ai's arrest will only incite the protesters even further. I don't understand the Chinese in this regard."
"There is no question that there are still many deplorable incidents, but one thing is clear: never in Chinese history has there been this much freedom for the individual."
"Willy Brandt said that change is possible through rapprochement, not through embargoes."
"Believe me, there is a big difference between East Germany and today's China. I experienced the East German system up close, because I studied in Berlin. What i experienced at the time -the level of inhuman behavior- doesn't exist in China by a long shot."
"Based on that argument, one would have to conclude that no one should be allowed to build in Germany anymore, either. Germany as a whole is contaminated."
"This idea of only wanting to work for private individuals is absurd. In a country like China, where does private end and where does government-owned begin?"
"You shouldn't overestimate the social role and function of an architect -even when he plays a somewhat bigger role in the public's perception, as I do. An architect has a limited ability to influence things."
"But it's also erroneous to say that the architect must realize his potential in every building. Architect must primarily react to the location."
"In the case of the National Museum in Beijing, the changes were part of a discursive process."

Quando si arriva al ruolo pubblico o sociale degli artisti, si sta un attimo a farsi fuorviare. Quelli che sostengono che questo ruolo sociale esista, e che molto spesso si sentono in diritto di giudicare se e come questo sia stato rispettato, lo fanno generalmente sulla base di uno di questi due ragionamenti. Possono essere convinti che un simile ruolo morale lo abbia ognuno, ogni persona. Oppure possono essere convinti che gli artisti abbiano questo ruolo proprio per la loro attività o visibilità, e che sia appunto questo aspetto ad assegnare loro un dovere che le persone comuni non hanno. In entrambi i casi, ci si sbaglia di grosso.

Nel primo, è più che lecito sospettare di trovarsi davanti ad un giacobino. Qualcuno che crede di aver trovato -senza possibilità di errore- quelle virtù morali che sono non semplicemente auspicabili o apprezzabili ma doverose e pretendibili. Chi non le manifesti o non le eserciti commette a tutti gli effetti un peccato od un reato -nei migliori dei casi dovrà essere chiamato a renderne conto, nel peggiore costretto a farne pubblica ammenda e rieducato, perché non accada nuovamente. Il perché si pretenda la mobilitazione morale di massa ha molto a che fare con un concetto di lunga data che da qualche decennio viene immancabilmente espresso con un verso di De André: "Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti." Balle. Davvero, balle, balle, balle. Non tutti sono immancabilmente coinvolti in ogni caso, qualunque cosa succeda, qualunque siano i diversi elementi delle diverse situazioni. Le responsabilità bisognerebbe stare attenti a maneggiarle, e ancora di più ad affibbiarle. Se qualcuno se le vuole assumere di suo conto, fantastico, ma nel momento in cui si voglia invece affibbiarle, bisognerebbe usare tutte le premure e precauzioni possibili.

Nel secondo, ci troviamo di fronte ad una mania abbastanza diffusa. Le persone pubbliche, soprattutto se si tratta di attori, scrittori, musicisti, finiscono sepolte sotto una marea di doveri che abbiamo deciso unilateralmente di assegnare loro. C'entra la falsa prospettiva da cui le guardiamo, per cui finiamo per spogliarle dei normali elementi di umanità che proviamo per chiunque altro ci stia vicino. C'entra il modo in cui avvertiamo i mille privilegi che attribuiamo loro -in parte questi privilegi ci sono, in parte li ingigantiamo, in parte non siamo minimamente disposti a considerare i molti svantaggi che costituiscono l'altro lato della medaglia. Un artista in realtà ha, nei confronti del proprio pubblico, ben pochi doveri. Pubblica un'opera e la condivide con il pubblico, con chi si dimostra disponibile a leggerla, vederla, ascoltarla. La decisione di leggerla, vederla, ecc. è presa di propria spontanea iniziativa da chi ne usufruisce -senza alcuna costrizione dell'artista. Questo artista ricava (al giorno d'oggi: per quanto possibile) un compenso per l'aver impiegato le proprie capacità nella produzione di un'opera. Se l'opera si rivela essere di basso valore, chi ne entra in contatto non acquista un diritto di rivendicazione nei confronti dell'artista; ha pieno diritto di esprimere la propria opinione e diffonderla, ma l'artista non è in alcun debito nei suoi confronti. E' lecito aspettarsi che un artista, nel lavoro di produzione di un'opera, impieghi una buona dose di diligenza. Al tempo stesso, nel momento in cui un'opera è prodotta e diffusa, non vedo il motivo per cui l'artista senta nei confronti di questa un dovere di fedeltà assoluta per l'eternità.

Questo vale, per esempio, anche per Bob Dylan. La sua carriera è stata lunga e piena di svolte. E' cambiato lui, è cambiata la sua ispirazione, sono cambiati i tempi. Bob Dylan non ha mai fatto mistero di ritenersi di volta in volta molto lontano dalle sue fasi precedenti. Ha continuato a cantare determinate canzoni nei concerti perché sapeva che molti si aspettavano questo da lui. Ma lo ha fatto decidendo sempre in relativa autonomia la propria scaletta, secondo le sue preferenze o, perché stupirsene, per convenienza. Pretendere che un artista vada contro la sua convenienza è sciocco. Nel momento in cui Bob Dylan è salito sul palco in Cina, aveva un unico obbligo: fare un buon concerto, cercando per quanto possibile di dare vita ad uno spettacolo che potesse avere una qualità sufficiente a soddisfare il pubblico. Le cronache lette sulla stampa non si avventurano mai a dare un giudizio sulla qualità del concerto. Spesso descrivono la tipologia di pubblico: sorge più di un dubbio che il pubblico presente si aspettasse, o desiderasse ardentemente, una "Blowin' in the Wind" o altre canzoni politiche. In parte era lì per la musica, e provate a chiedere a qualcuno che di musica ne capisce, di Dylan, e vedete se non vi parla di Highway 61 Revisited o di Blonde on Blonde (canonico), di Pat Garrett & Billy the Kid (multimediale), di Desire (ritardatario) oppure di Nashville Skyline (alternativo) o di Blood on the Tracks (particolarmente saggio). Per arrivare a The Freewheelin' Bob Dylan dovrete trascinarcelo, e allora vi parlerà di Girl from the North Country o di Don't Think Twice, it's All Right. Dovrete inchiodarlo, per farvi parlare delle canzoni politiche di The Freewheelin'. E allora a quel punto vi parlerà di Master of War o di A Hard Rain's A-Gonna Fall. Oppure erano lì per il simbolo, e per loro poteva anche starsene zitto, una volta salito sul palco.

E se Bob Dylan si fosse dato alla nuova svolta folk-di protesta? Chitarra imbracciata e versi taglienti verso il regime? Beh, lecito aspettarsi una nuova stretta verso la presenza degli artisti occidentali, come dopo Bjork. Poche notizie su Dylan in giro, magari nessuno scopre che ha scritto certe canzoni nella prima fase della carriera. Minore possibilità di conoscere l'arte occidentale -molte meno persone, magari, che scoprono Neil Young (Keep on rocking in the free world). Ma vuoi mettere? Bob Dylan che suona Blowin' in the Wind!
Si unisce allo sbeffeggiamento dello slogan dell'ultima fronda di ribellismo civico Adriano Sofri, nella rubrica Piccola Posta oggi sul Foglio (manca a dire il vero la parte finale, quell'"adesso" urlato ed invocato, che è il vero colpo di genio a rendere ridicolo lo slogan).

"Se non ora, quanto?"

Lo struzzonismo

Adesso che è stata approvata, si può provare a dare qualche giudizio. Non sulla legge in sé, visto che di rinvio in rinvio, di settimana in settimana, se n'è parlato talmente tanto nei giornali e nei talk show. Con buoni argomenti da entrambe le parti, con argomentazioni totalmente campate in aria da entrambe le parti, con un'insistenza e una ripetitività ossessiva, quando si pensava di aver trovato il punto giusto su cui battere, da entrambe le parti. Per cui, su questo, meglio andare a buffet. Che ognuno si prepari un piatto con quello che lo convince di più -e se riesce a farlo prendendo un po' da questo e un po' da quello, tanto meglio.

Proviamo a dire due cose sul comportamento del Pd (che novità, eh?). Con una prima precisazione, che non sarebbe necessaria, se la parola non fosse spuntata immancabilmente con un accento di disapprovazione in ogni tg in cui sia stata pronunciata: l'ostruzionismo è una tecnica più che legittima per un'opposizione parlamentare.

Ci siamo tutti innamorati nell'astratto di un modo di fare opposizione costruttivo, basato sulla disponibilità a collaborare per il miglioramento delle leggi, sulla presentazione di emendamenti per quegli articoli che proprio non vanno, su dibattiti ispirati, chiari e puntuali sugli argomenti in questione. Contemporaneamente non abbiamo avuto troppe riserve nel contestare chi declinava la pratica dell'opposizione unicamente sotto forma di slogan, lotte dure, aventini annunciati o praticati. Tutto buono, tutto giusto, a patto di non finire per rifiutare l'idea dell'ostruzionismo come pratica lecita, accettabile, efficace.

Il problema allora è capire quando darsi all'ostruzionismo può avere un senso. Giusto per non far venire meno il gusto dei bivi e delle dicotomie, i casi sono due. L'ostruzionismo può avere senso come simbolo, come gesto in sé: la legge è talmente sbagliata, talmente aberrante, un passo indietro per il vivere civile, un danno per l'intero Paese, che come opposizione ci sentiamo in dovere di tirare su un muro -perché voi maggioranza vi rendiate conto, di quanto siamo indignati, e magari abbiate un'illuminazione e rinsaviate; perché nel Paese si sappia, quanto è negativa la misura che sta per essere adottata, e l'opinione pubblica ne diventi cosciente; perché nessuno mai abbia l'ardire di considerarci complici di quello che viene fatto. L'altro caso è una funzionalità pratica della tattica. Faccio ostruzionismo, rallento a dismisura i lavori, faccio sì che ogni singola votazione sia portata avanti con un ritmo sfibrante, e in questo modo aumento la possibilità che su ogni singolo articolo votato venga meno il numero di voti necessari per l'approvazione. Con una lunga lista di possibili risultati: riesco a dare l'idea di una maggioranza in difficoltà, se ogni singola votazione diventa un rebus; ci riesco ancora meglio, se un certo numero di volte la maggioranza va sotto; è possibile che non siano approvati quegli articoli che trovo più inaccettabili; magari si affossa l'intera legge.

E in questo caso concreto? Non si era davvero nel secondo caso. Alcuni piccoli risultati erano già stati "portati a casa": molto rumore sulla questione, ampia copertura della stampa e quindi informazione dell'opinione pubblica, in un certo qual modo (al di là dei numeri finali dell'approvazione) si era dato ancora una volta l'idea della fragilità della maggioranza -presenze controllate con piglio da gendarmi, ministri fissi in aula, perfino il Consiglio dei Ministri tenuto in Parlamento. Gli altri risultati - quelli "concreti", non solo morali- non erano raggiungibili. Non che non lo fossero già dall'inizio, dato che non si era posta la fiducia, ma lo erano diventati almeno da quanto si era deciso, prevedibilmente, di procedere con il voto non segreto. Per cui le uniche ragioni dell'ostruzionismo rimanevano ideali, simboliche. Si potrebbe discutere se fosse il caso, se la situazione e la legge in questione fossero davvero da allarme democratico (no, il mio parere). Forse è meglio interrogarsi sull'opportunità di questo comportamento. Innanzitutto, un simbolo è reso più efficace dalla sua intensità. Meglio qualcosa di forte, deciso, ma di breve durata, rispetto a qualcosa che si trascina, fino all'inesorabile punto in cui inizierà a boccheggiare -e a puzzare- come un pesce. Fai il tuo gesto simbolico, ne godi i frutti, torni alle normali attività. Ma al di là dei risultati, dell'utilità, c'è anche una questione di principio. Uno dei punti-chiave della tua retorica è "hanno occupato il Parlamento per mille secoli con una questione secondaria, che non fa gli interessi del Paese, che fa gli interessi solo di poche persone, se non una". Declinato anche nella variante "questa maggioranza sta svilendo e compromettendo il ruolo del Parlamento". FANTASTICO. Detto senza ironia. Per una volta hai avuto l'accortezza di sceglierti una battaglia significativa e importante. Non una battaglia che puoi condurre senza alcuna attenzione ai modi, visto che allo svilimento del ruolo e dei lavori del Parlamento hanno contributo anche i governi di centro-sinistra, ma una battaglia che puoi comunque cavalcare con credibilità, visto che il momento più negativo di questo processo è ancora legato al secondo governo Berlusconi. Una battaglia di quelle di una volta, si potrebbe dire: che guarda al livello di civiltà e di dignità del Paese, che può avere effetti concreti sul miglioramento della politica e dell'amministrazione, che tocca alti livelli intellettuali e morali, ma ha al tempo stesso legami con la vita della gente. E come decidi di portarla avanti? Cercando di trasformare il Parlamento in un Vietnam nella speranza che la maggioranza incappi in una qualche imboscata? Allungando ancora a dismisura, di settimana in settimana, i lavori che stanno bloccando il Parlamento e intaccandone il senso ed il valore? Facendo il teatrino della recitazione degli articoli della Costituzione (contribuendo al processo di esaltazione e difesa acritica e fondamentalista della Costituzione sempre più diffuso? Dando una mano a svuotare sempre di più il testo dei suoi valori e della sua importanza, banalizzandolo a mantra spendibile in tutte le stagioni, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni?) invece di lanciarti in discorsi ispirati e vibranti, giusto la volta che ti capita di avere le carte buone in mano? Eterogenesi dei fini, si potrebbe dire, ricorrendo ad una categoria usata tutte le stagioni, in tutte le occasioni.

(poi ci sono anche i cori su Cicchitto - ma è questione diversa dall'ostruzionismo, anche se pure ha a che fare con il modo in cui il Pd opera in Parlamento. Poi ci sono le sparate di Asor Rosa e affini, e il degrado sempre maggiore delle manifestazioni davanti a Montecitorio. Ecco, bisogna stare attenti a dividere responsabilità da responsabilità, e a volerne vedere dove non ci sono. Ma un ostruzionismo abbastanza fanatico, sfibrante, boccheggiante di sicuro non aiuta).

giovedì 14 aprile 2011

Volevo scrivere due righe su quanto stia diventando fastidiosa e pedante l'insistenza di Saviano sulla "macchina del fango" e su quanto sia puerile farne una parola-chiave della propria retorica.

Pare sia stato preceduto.

domenica 10 aprile 2011

Una buona causa

Visto che ognuno di noi ha tre desideri che può vedersi soddisfatti (funziona così, no? Ognuno di noi ha questi tre desideri, una sorta di dono innato, una dote che possiamo spendere quando lo riteniamo opportuno) e a me rimane solo il terzo - a quanto pare devo avere sprecato i primi due mentre dormivo. Visto che non è una regola scritta ma di certo è una consuetudine ormai consolidatasi e sancita socialmente, e in ogni caso un'opportuno gesto di buona creanza, dopo aver goduto dei frutti personali dei primi due desideri dedicare il terzo ad una causa comune, a migliorare la vita di molti, se non di tutti (dovrò scoprirlo, prima o poi, quale sarebbe questo vantaggio personale che mi sono conquistato, con il sacrificio involontario dei primi due desideri). Visto che, infine, di questi tempi la maggior parte della gente (oddio, non ci metterei la mano sul fuoco però) sembra averlo capito (a forza di dai e dai e dai) che con le rivoluzioni morali, o ideologiche, o sociali non si va molto lontano, o se si riesce ad andare lontano, si finisce immancabilmente all'inferno; visto che si è capito, più o meno, dicevo, che con le buone opere di ingegneria sociale ed etica si manda tutto a scatafascio -e a questo punto, liberatici dai moti dal basso o dai grandi disegni calati dall'alto, non ci restano che i terzi desideri, per migliorare il mondo).

A questo punto, facciamo così. Genio, o Gesù Bambino, o Pozzo profondo profondo, per il mio terzo desiderio, per il desiderio caritatevole, fate così, togliete dal mondo quello che più di tutto rischia di mandarlo al macero e di rovinare la vita di tutti e di creare tanta sofferenza a noi poveri cristi. L'entusiasmo. Quella brutta bestia che rende tutti zelanti; che porta chi ne è colpito a volervi convertite per forza, o almeno risollevarvi il morale (che è in fondo un tentativo di conversione ancora più subdola -una conversione a cui sia stata tolta l'ambizione). Che spinge ainiziare grandi opere, a voler mettere su un piccolo impero, e poi finisce sempre che sono altri a doverci mettere spalle, ed arti, e sforzi tremendi perché se ne venga a capo, oppure restano rovine a metà e comunque, immancabilmente, è sempre qualcun'altro ad andarci di mezzo, quando se le vede crollare in testa.

Davvero, facciamo così. Liberi tutti da quella piaga che è l'entusiasmo.

sabato 9 aprile 2011

Vasco ma che stai a canta'? / 13

"ma sei sempre il sole che scende in un ufficio pubblico per appenderci un altro crocefisso"

Vasco Brondi nella canzone "Quando tornerai dall'estero"

venerdì 8 aprile 2011

Vasco ma che stai a canta'? / 12

"le tue illuminazioni i nostri cristi fosforescenti i nostri pomeriggi appesi appesi come Mussolini e lunghi tirocini incendi nei tuoi capelli biondi e fiumi di detersivi"

Vasco Brondi nella canzone "Le ragazze kamikaze"

giovedì 7 aprile 2011

Vasco ma che stai a canta'? / 11

"vogliamo anche le rose e delle stelle tra le costole tra le tue occhiaie azzurre perché preferiamo perdere le luci di dicembre delle raffinerie di ravenna"

Vasco Brondi nella canzone "Una guerra fredda"

martedì 5 aprile 2011

Aria fritta

Vedete, Millat non l'amava. E lei pensava che Millat non l'amasse perché non poteva. Pensava che fosse così danneggiato da non poter più amare nessuno. E voleva trovare chi l'aveva danneggiato fino a quel punto, danneggiato in modo tanto orribile, voleva trovare chiunque l'avesse reso incapace di amarla.
Che strano, il mondo moderno. Nelle toilette si sentono ragazze che dicono: «Sì, mi ha scopata e poi se n'è andato. Non mi amava. Era così completamente incapace di amare. Era troppo incasinato per sapermi amare». Ora, com'è accaduto? Che cosa, in questo secolo così poco amabile, ci ha convinti che malgrado tutto siamo da amare come persone, come specie? Chi ci ha portati a pensare che chiunque non ci ami sia in qualche modo danneggiato, mancante di qualcosa, malfunzionante? E in particolare se ci sostituiscono con un dio, o con una madonna piangente, con la faccia di Cristo in un telo di stoffa...allora gli diamo dei pazzi. Degli illusi. Dei regrediti. Siamo così convinti della bontà di noi stessi, e della bontà del nostro amore, che non sopportiamo di credere che possa esistere qualcosa di più degno d'amore di noi, di più degno d'adorazione. I cartoncini per le varie festività continuano a ripeterci che tutti meritano amore. No. Tutti meritano aria fritta. Non tutti meritano amore in ogni occasione.

Zadie Smith - Denti bianchi.

Vasco ma che stai a canta'? / 10

"ci troveremo davanti ai nostri muri dei pianti oppure uccisi da Putin"

Vasco Brondi nella canzone "Per respingerti in mare"

lunedì 4 aprile 2011

Vasco ma che stai a canta'? / 9

"fare l'amore nei container tra i file di ricordi"

Vasco Brondi nella canzone "L'amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici"

domenica 3 aprile 2011

"E' una ruota che gira...

...che gira e se ne va, ma ritorna e dopo parte, gira gira e se ne va" (cit.)

* una ragione per cui sarebbe sbagliato scriverci Sarkozy.

** una seconda ragione per cui ecc ecc.

*** il 100% della persona campione intervistata ha concordato nell'individuare Bidasio come simbolo più esemplificativo dell'inferiorità e del basso valore del popolo della Destra Piave. Perché, nonostante ora anche le liste elettorali avvallino varie voci sull'esistenza di una Razza Piave, è più che evidente a qualunque persona dotata di comune buonsenso e di discreta capacità di osservazione che le persone punite da Dio con un'origine DP manifestano nasi larghi e schiacciati, pigmentazioni meno eleganti, capelli che inevitabilmente si sviluppano in nidi indistricabili e dall'aspetto sgradevole e, a differenza di quanto sarebbe lecito attendersi a questo punto, misure decisamente inadatte a soddisfare una donna. L'identità della persona campione verrà ovviamente omessa, a tutela della privacy e per evitare spiacevoli incidenti.

Vasco ma che stai a canta'? / 8

"per non far piangere i tuoi salici piangenti e ci piscino pure addosso gli angeli e i conoscenti morti negli incidenti che non capisci gli incubi dei pesci rossi"

Vasco Brondi nella canzone "Stagnola"

sabato 2 aprile 2011

Vasco ma che stai a canta'? / 7

"che con le lacrime noi cadiamo negli angoli e sulle portaerei"

Vasco Brondi nella canzone "Anidride carbonica"

venerdì 1 aprile 2011

Vasco ma che stai a canta'? / 6

"con le costole fragili come certi balconi meridionali"

Vasco Brondi nella canzone "Fuochi artificiali"