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sabato 12 marzo 2011

In questo momento medesimo.

Anche se impossibilitato ad essere con voi, causa salute cagionevole, sappiate che sono con voi, in piazza, nelle strade, a manifestare per la Costituzione, per l'istruzione pubblica, per l'istruzione pudìca, per l'indignazione, per la magistratura, per la fritura (de pès), per le torte di limone fatte come una volta, per il cavolo cappuccio.

Oh, se ci fossi, che slogan accattivante avrei trovato, per la difesa del cavolo cappuccio.

Ma non temete, vi seguirò orgoglioso da Rai News. Resisterò fino all'ultimo, fino allo stremo - che immagino coinciderà con l'intervento di Fo, se la volta scorsa mi ha insegnato qualcosa.

(come si fa a non trovare adorabile delle gente che si è scelta come slogan un non-sense logico? Partecipazione ed ardore fin oltre il senso del ridicolo).

sabato 29 gennaio 2011

Ultime trovate contro la cronaca.

Ci sono persone che ci provano. Vengono a patti con i propri limiti -ne vengono a capo, si potrebbe anche dire- e con quel che resta si danno da fare. Compiono con professionalità il proprio lavoro e quello di uno si unisce a quello dell’altro, ed ancora, più volte, questi sforzi tenaci si uniscono, si rafforzano a vicenda, si saldano a formare un insieme di qualità, qualcosa che possa migliorare, in qualche modo, la vita degli altri. Ci sono persone poi, altre persone, che nel seguire queste strade, a testa bassa e con tenacia, meritano ancora maggiore attenzione. Perché in questo loro lavoro sono chiamati al sacrificio e all’abnegazione. Perché per loro potremmo scomodare – dal vocabolario della nostra mitologia civile – il termine eroe. E il suono altisonante, la luce classica che questa parola si porta dietro sono cose che arrivano dopo, a posteriori, a volte tirate per i capelli per un tentativo sghembo di risarcimento. Di classico addosso a quella parola, nel durante, non resta che la tragicità. E, una volta preso su di sé questo fardello, non ci si può nemmeno aspettare qualche piccola agevolazione, ma ostacoli anzi. Capita di ritrovarsi di fronte i demoni passati e capire che non erano scomparsi, si erano solo messi calmi in attesa del momento più duro per tornare più forti, marciare su un campo già vinto. Di vedersi scarnificare, strato a strato, di tutti gli ambienti confortevoli in cui si giocano i diversi ruoli della vita; tutto strappato lontano, finché non rimane altro che quella missione, bestia affamata e gelosa. Di smarrirsi e non riuscire più a capire, di dubitare sempre di più, più di quanto sia normale, o lecito, o auspicabile; di dubitare di se stessi – non delle proprie capacità, o motivazioni – della propria stessa esistenza – se è scritta, quante pagine ancora? Perfino di essere certi che non ci sia altra scelta, che solo annullandosi si potrà dare un contributo, che annullarsi è il solo contributo che ci è possibile – non si è destinati a sfide più grandi, per quelle restano i compagni, andandosene arriverà l’attenzione di molti e per alcuni, tra tanto orrore, la speranza – chi combatte per noi mette in conto la morte, la accetta, e lotterà anche oltre questo tabù ultimo.

Ci emoziona conoscere le storie di questi eroi. Non è così semplice passare sopra l’enfasi che li anima, il loro puntare dritto verso la Verità. D’altronde, è rimasto qualcosa che ci spaventa più dell’incontrare una maiuscola sulla nostra strada? L’idea che qualcuno ci creda, alle maiuscole, che ci corra incontro, che si senta chiamato. Le vocazioni sono pericolose, ci è stato insegnato, portano da brutte parti, il fanatismo, un furore che brucia. Ma probabilmente non è il caso di tenersi stretti tutti questi pudori – mollare gli ormeggi, le reticenze; abbracciare per una volta una causa per intero, abbandonandosi ad essa, senza lasciarsi frenare dai dubbi.

Ve ne convincerete di sicuro appena farò cenno al fatto che questi eroi, raminghi alla ricerca disperata della Verità, si trovano di fronte un pericolo ben più oscuro. Forze nere che li boicottano, che cercano in ogni modo di condannare all’insuccesso i loro sforzi, di metterli a tacere invocando le più odiose maledizioni. Di sicuro non li anima qualcosa di minore del Male. E qui arrivo al punto: se non siamo pronti a vestire i panni degli eroi, se non siamo propri adatti, cosa possiamo fare almeno, per aiutare chi combatte per noi? Farci vedette e sentinelle, guardar loro le spalle, sperando con questi piccoli sforzi di evitar loro qualche tranello. E quale fortuna, vivere oggi, quando in mille modi sempre nuovi questo compito viene agevolato. Non aspetteremo un momento di più, faremo finalmente la nostra parte. Vestiremo questo ruolo alla luce del sole, facendo sapere a tutto il mondo che parte abbiamo preso, bardando la nostra immagine con simboli e slogan. Riporteremo le frasi taglienti, lanciate dagli eroi contro gli oscuri signori, sulle nostre magliette, o gadget adatti. Apporremo il nostro sigillo in calce ad ogni strale, ad ogni invocazione, per dare ad essi una voce più grossa. Ci affideremo, per abbeverarci di quei stralci di verità che gli eroi avranno strappato al grande complotto, a quei cantori che hanno dato prova della loro fedeltà alla causa, loro che soli mossi da grande coraggio hanno urlato contro le mura più dure i fatti accaduti, raccogliendo di decina in decina le bugie trafugate, le omissioni spacciate. E se migliaia navigano, ognuno avrà cura di chiamarne altri a migliaia, finché almeno dieci milioni – madonna, quanti – saranno schierati. Sarà il momento della battaglia campale e non mancheranno striscioni e buone intenzioni.

Ma prima di arrivarci, dobbiamo muovere un passo d’inizio. Dobbiamo capire per quali battaglie vale la pena lottare. Ne troverete anche voi almeno una, come già ho fatto io – quella che vi sembrerà la più importante di tutte.



FlashForward 18 maggio 2010

martedì 21 dicembre 2010

Appunti per un talk-show.

La vecchia storia del così si passa dalla parte della ragione a quella del torto, ma non proprio uguale. Partiamo da più lontano. Chiunque guardi dei talk-show politici (io ne sono malato) sa bene che la bassa qualità di questi programmi è un simbolo facile facile dei problemi del mondo della politica del paese. Uno che su questo tema si è speso molto, tanto per citare un nome, è Luca Sofri (ok, si, va bene, qui citiamo sempre lui. Fatevene una ragione). I tre problemi più evidenti di questi talk-show -non gli unici, ma quelli che saltano agli occhi di chiunque li guardi, o quasi- sono: una parte consistente degli ospiti si pone il compito non di partecipare allo sviluppo di un dibattito e di rispondere nel merito delle domande che le viene posta, o delle tesi avanzate dalle altre parti, ma di indovinare la frase o le argomentazioni che facciano sembrare la fazione che sostiene dalla parte della ragione (da qui la preponderanza degli slogan sui ragionamenti; il carattere frammentato delle discussioni, che non riescono ad avere un vero filo logico; il cadere nel vuoto di temi e particolari che sarebbero invece fondamentali per la formazione e l'informazione dell'opinione pubblica); secondo, molti ospiti urlano; terzo, gli ospiti si interrompono a vicenda e si accavallano.

I primi due problemi sono di difficile soluzione. O meglio: avrebbero entrambi una soluzione molto semplice ma il cui impiego concreto è molto improbabile. Per il primo, un netto miglioramento sarebbe possibile attraverso l'invito, come si fa in molti altri paesi, Stati Uniti tra tutti, di analisti della politica, invece che politici in prima persona. Se nel nostro Paese il tenore dei giornalisti politici (per lo meno in un certo tipo di stampa) lascia a volte a desiderare, esiste un numero elevato di "tecnici", scienziati della politica o di altre scienze umane che lavorano per università, centri studi, think-tank, fondazioni. Riguardo ai politici, è sufficiente una cernita abbastanza superficiale, per riuscire a separare quei politici che possono vantare una rispettabile caratura intellettuale e che sono davvero in grado di forgiare le politiche del proprio partito e capirne le implicazioni da quelli che sono riusciti ad autopromuoversi attraverso sparate estemporanee o da caserma. Per il secondo, è sufficiente abbassare, se non spegnere, nei casi in questione, il microfono dell'ospite. In un primo momento ci sarebbero denunce varie ed eventuali di censura, o di limitazione della libertà di espressione ma non ci vorrà troppo tempo prima che sia chiaro a tutti che è in gioco non la possibilità di esprimere un pensiero, ma il modo in cui questo viene espresso.

Ma è riguardo il terzo problema che voglio lanciare un appello. L'interruzione di un ospite da parte di un altro ospite è una pratica barbara. Qualcosa di incivile che al giorno d'oggi ecc. ecc. In più, oggi è diventata una tecnica di guerriglia. Chi la adotta è a conti fatti una sorta di vietcong. Basta già solo che adotti questa tecnica ed è ovvio che si tratta di una persona che di moderato ha poco; si tratta di qualcuno che rifiuta con spregio l'occasione di dibattito o di dialogo e che la vuole buttare in guerra. In più, schiva con attenzione il campo aperto, e si dà alla macchia, cercando di sfiancare l'avversario con punzecchiature ed interruzioni intermittenti. Tanto, in fondo, non ci perde niente; non ha, ovviamente, le qualità per partecipare al dibattito attraverso modi più convenzionali e, in questo senso, non ha una faccia da perdere. Poi, capita spesso che gli vada anche bene, questo giochino, e che riesca a far perdere il filo a chi sta intervenendo oppure di far passare l'impressione che l'altro sia impreparato (il discorso non riesce a completarlo in modo lineare o, comunque, la linearità non viene percepita da chi ascolta; per un gioco perverso una parte degli ascoltatori può essere portata a credere che le interruzioni siano colpa sua -se il suo discorso filasse come un treno, l'altro non troverebbe gli attimi per infilarsi nell'intervento).

Bene. Qui vogliamo lanciare una campagna per la messa al bando dei "non mi interrompa", "mi faccia finire", "posso finire?" e infine dell'astro nascente "io non l'ho interrotta, però, faccia altrettanto". Sono mosse sbagliate, nella teoria e nella pratica -e inoltre stanno subendo una metamorfosi che le trascina alla deriva. L'errore più evidente sta nel loro effetto pratico. Un ospite che ne faccia ricorso corre seri rischi di passare per spocchioso, se non di peggio. Un abatino, un damerino inamidato. Qualcuno che si sottrae al tipo di dibattito che si sta sviluppando perché non è in grado di parteciparvi (non perché non voglia). Un debole che si tira indietro quando il gioco si fa duro. Far passare una simile immagine di sé va a danno non tanto della propria persona, ma della tesi che si sta sostenendo, che si presume essere valida ed importante per il Paese. E' sbagliata nella teoria perché una simile frase ha senso solamente se riesce ad ottenere l'obiettivo prefissato e in simili situazioni cadrà sempre nel vuoto. Con espressioni del genere, inoltre, si finisce per trasformare quel tipo di educazione, di civiltà, di moderazione in una semplice regola del gioco o peggio in una merce di scambio (io non l'ho fatto, non lo faccia nemmeno lei). E' molto più saggio limitarsi a trattenersi dal cadere a propria volta in questa forma di maleducazione e sopportare quando ci viene rivolta, magari giocando con pause ad effetto nel parlare, quando servono a rendere palese quando l' (altro) re sia nudo. Qualcosa di simile è la strategia, per esempio, della De Gregorio. Si rischia di passare per remissivi, ma a me sembra davvero il male minore.

Per cercare di risolvere il problema, altro appello: conduttori di talk-show adottate una forma di segnaletica in sovraimpressione con del testo che metta in chiaro quando simili forme di interruzione sono esempio di maleducazione e non gradite nel programma, nei casi in cui questo succede.

(altro appello, visto che c'ho preso gusto. In particolare ai registi di quei talk-show che hanno fama di essere più "schierati": basta inquadrare le espressioni degli altri ospiti quando sta parlando un altro invitato, o il presentatore. Inquadrate la persona che sta parlando, o mandate delle immagini che abbiamo a che vedere con quanto viene detto. Vi credete furbi, a beccare una risatina involontaria di un membro del governo ad una vignetta di Vauro. Varie manifestazioni di dissenso o di orticaria quando parla un leghista o qualcuno di sinistra sinistra. Una qualche pantomima di un dipietrista. Beh, proprio per niente.)

giovedì 7 ottobre 2010

Onestà intellettuale a geometria variabile.

Va a finire che guardo un'intera puntata di Annozero (certamente non meno fastidiosa della norma), solo perché Chiara Moroni è una donna bellissima, ed è vestita in modo davvero sexy.

Che porco, che porco.

domenica 26 settembre 2010

Some dozens of lost sleep hours can't be wrong.

(adattandomi all'etichetta, metto educatamente qualche avviso preliminare. Il post è una recensione della serie tv Weeds, anche se poi per la maggior parte dello spazio parlo d'altro. Forti e diffusi rischi di spoiler. Riflessioni alla luce delle stagioni 1-4, non ho ancora avuto modo di vedere la 5 e l'inizio della 6. Anche se nel post non ne parlo, la serie ha una colonna sonora eccezionale, la migliore dopo Californication, finora.)

Weeds è una serie molto bella. Non è certo la frase più accattivante con cui iniziare una recensione, me ne rendo conto, per almeno un paio di motivi. Primo: se voi ed i vostri amici siete appassionati di serie televisive avrete già avuto modo di vedere Weeds, o di sentirne parlare. In caso contrario, di sicuro non è con frasi del genere che catturerò la vostra attenzione e riuscirò a convincervi. Secondo: bello non è un aggettivo molto esplicativo per cercare di descrivere qualcosa, ed è, anzi, molto infantile. Richiama quel periodo, da bambini, quando tutto si riduceva alla dicotomia bello/brutto ed il mondo era tutto compreso trai limiti orientali ed occidentali di queste due parole, e al massimo si poteva espandere a nord e sud secondo la linea buono/cattivo (ad arrivarci, a buono/cattivo; non è così semplice). Il punto è che quando penso a Weeds, finisco sempre per farmi venire in mente la bellezza. Non tanto perché il cuore della serie sia un qualche fine estetico, o perché ciò che la distingua sia una qualità formale insolita. Semplicemente, ho più di un sospetto che l'eventualità di apprezzare la serie e soprattutto la misura in cui questo possa avvenire, alla fin fine, siano legate imprescindibilmente al rapporto che ognuno di noi ha con la bellezza. Quindi, per cercare di sponsorizzarvi questo telefilm, il modo migliore mi sembra quello di lasciare perdere -per il momento- qualsiasi analisi di caratteristiche, vizi e virtù del prodotto e spiegarvi che tipo di persone dovete essere, per avere maggiori possibilità di appassionarvici.

Sulla base della mia esperienza (sì, è ben poca cosa, lo so, ma è tutto quello che io ho e, comunque, non è ancora finita) le persone possono essere identificate in cinque categorie, sulla base del proprio rapporto con la bellezza. Iniziamo dai due estremi. Con una piccola avvertenza: non è questo un caso in cui si possa dire che la virtù stia nel mezzo e che i due limiti rappresentino condizioni radicali indesiderabili; sono convinto anzi che molti alla fine le troveranno delle situazioni ideali e crederanno -o spereranno- di esservi compresi.

Asceti. Ci sono persone che non sono interessate alla bellezza. La bellezza li lascia in fin dei conti indifferenti, non procura loro particolare godimento e quindi sono portati a non costruire alcun rapporto con essa. Ad alcuni potrà sembrare una prospettiva arida, ma lo trovo un giudizio superficiale; quelle persone hanno semplicemente altre priorità. Altri potrebbero vederla come una scelta ascetica; con ogni probabilità è solamente pragmatica.

Eletti. Alcune persone sono attratte dalla bellezza naturalmente, come per una sorta di magnetismo. Non hanno bisogno di interrogarsi sul senso e sulla natura della bellezza, di riflettere su quale posizione adottare riguardo ad essa, di dannarsi nella sua ricerca; il rapporto che instaurano con la bellezza è pre-intellettuale, non mediato da ragionamenti. Si tratta di persone che provano una sensazione estatica davanti ai lavori di El Greco -una sorta di vampata che lascia un piacevole e persistente tepore-, che abbracciano con morsi lineari la pienezza del sapore di un carpaccio di salmone, che riconoscono il vino buono senza etichette o menù, e senza sentire il bisogno di catalogarne il profumo, il corpo, il colore. È facile intuire che questa passi per essere una categoria eletta e che ognuno di noi -noi che ovviamente non ne facciamo parte- cerchi di barare con se stesso per convincersi di farne parte. Non è nemmeno così difficile, illudersi, perché la maggior parte delle persone comuni riesce a vivere momenti del genere, a volte perfino con frequenza. Ma che si tratti, per essi, di un'illusione è sicuro, per tre elementi.

A) Esperienze del genere sono per loro sporadiche, episodiche -non già costanti e organiche. Per far parte di questa categoria è necessario cogliere l'ordito di bellezza che circonda ognuno di noi, nella sua interezza, non è sufficiente notare dei dettagli sparsi qua e là.

B) Manca, in questi casi, la naturalezza e l'istintività dell'esperienza. Mai capitato di inserire nel lettore una pietra miliare del jazz con la ferma intenzione di farvelo piacere? Mai sentito l'esigenza di richiamarvi alla mente, durante la visione di un film della Nouvelle Vague, tutti i validi motivi per cui dovete apprezzare profondamente la caratterizzazione dei personaggi e le atmosfere abbozzate? Oppure, vi è familiare l'avvertire un'urgente necessità, dopo un momento di godimento estatico, di tormentarvi con l'esigenza di capire e analizzare quanto vi è accaduto, sviscerandolo in ogni suo elemento? Benvenuti nel club.

C) In virtù del loro rapporto con la bellezza, le persone incluse in questa categoria riescono ad avere una presa forte, ed al tempo stesso tranquilla, su questa, quando la incontrano. Non è mai successo che, una volta afferrata, sia scappata loro tra le dita. Potete dire altrettanto?

Finora si è trattato di fasce a bassa densità, e persone di questo tipo sono rare. Se contate sulle dita pensando alle vostre conoscenze, è difficile che riempiate entrambe le mani; le tre categorie rimanenti sono, in un certo senso, più comuni. Condividono un elemento: comprendono persone che avvertono fortemente l'esigenza di cercare, individuare e poi trattenere nel proprio spazio, nella propria vita, la bellezza. Avvertono questa esigenza perché la bellezza non è per loro neutra, indifferente, ma è preziosa, attribuiscono ad essa un gran valore. Al tempo stesso non la riconoscono fluire attorno a loro senza aver prima strizzato gli occhi e agitato un braccio un po' alla cieca. Inutile dire che l'essere presi da questa frenesia, nel bisogno e nella ricerca, produce un senso più o meno accentuato di malessere. Ciò che le differenzia è il risultato ottenuto con una simile ricerca.

Conformisti. Delle persone, nonostante gli sforzi febbrili e l'impegno profuso, non riescono a trovare, attorno a loro, alcun tipo di bellezza. Rimangono però convinte che una qualche bellezza debba comunque esistere, sebbene a loro non sia possibile identificarla, e che sia vitale per il loro benessere avere comunque la possibilità di entrarne in contatto. L'unica strada disponibile è quindi quella di accettare e fare propri i risultati della ricerca altrui; ciò è possibile affidandosi ad alcuni individui verso cui si nutre un sufficiente grado di fiducia o di ammirazione oppure -con una scelta in linea con lo spirito del tempo in cui viviamo- riponendo la propria fiducia nella maggioranza. In entrambi i casi questo meccanismo rappresenta una sorta di conformismo ed i rischi che i risultati non siano soddisfacenti sono sempre molto alti. Ad alcuni le persone comprese in questa categoria finiranno per sembrare sterili; ancora una volta, a me sembra un giudizio troppo affrettato.

Kitsch. Credo non vi sarà necessario nessuno sforzo per figurarvi questa categoria: sventurati che hanno perso la rotta, nel viaggio, contando su una bussola non ben tarata. Si sono fatti guidare dal cattivo gusto ed i risultati sono evidenti e -spesso- grotteschi.

Feticisti. Ho l'impressione -nei miei momenti migliori, in cui nutro grandi speranze per l'umanità, e mi rifiuto di credere che la categoria precedente abbia vinto nella selezione naturale- che questa sia la categoria di persone più diffusa ma c'è il rischio che sia fregato dalla convinzione di farne parte. Queste persone riescono, nella maggior parte dei casi, a sviluppare un rapporto con la bellezza per molti versi migliore rispetto alla terza ed alla quarta categoria e nutrono la ferma ma inutile aspirazione di poter approdare, magari un giorno, al gruppo degli eletti. Per il momento devono accontentarsi di essere riusciti più di chiunque altro a portare avanti riflessioni di alto livello sulla bellezza. Il problema, per loro -ammesso che si tratti di un problema-, è che il riconoscimento della bellezza passi attraverso una ricerca formale ed intellettuale, che si basi sull'astrazione, sull'analisi e non su un esperienza diretta e concreta. In questo percorso, l'oggetto incarnante la bellezza viene individuato non per la sua natura intrinseca ma attraverso alcune caratteristiche, attraverso alcuni dettagli. Questa parzialità comporta alcuni rischi e può portare ad un certo numero di derive. È possibile, ad esempio, che il ruolo fondamentale che i dettagli vengono a svolgere faccia sì che la fonte del godimento estetico diventi i dettagli stessi e non l'oggetto che li presenta: il feticismo in senso stretto. Oppure, essendo molto più facile notare i dettagli quando questi manifestano un alto grado di particolarità, di eccentricità, si possono sviluppare criteri di scelta via via più insoliti, incomprensibili agli altri, che finiranno per essere giudicati anomali, malati, perversi. Lo stadio terminale di questa deriva -di questa potenzialmente profonda deriva- è diventare poeti decadentisti francesi.

Se mi avete seguito fino a questo punto, veniamo ora a Weeds. Tutto quello che posso dirvi, per la mia esperienza personale, è che le possibilità che vi appassionate alla serie sono infinitamente maggiori se credete di riconoscervi in quest'ultima categoria. Se è così, posso dirvi con una buona possibilità di esattezza come si evolverà il vostro rapporto con la serie. Sarete catturati dalla prima puntata: le sue atmosfere, la presentazione dei personaggi e, oh, i dialoghi. Mi è capitato davvero raramente, anche nelle pagine più alte della letteratura, di incappare in un capitolo in cui la costruzione dei dialoghi fosse semplicemente perfetta: il modo in cui questi si sviluppano e si incastrano tra loro; la pluralità e la luminosità degli stili; il dipanarsi del ritmo con cadenza perfetta; ciò che le parole lasciano trapelare sulle persone che le hanno pronunciate, quello che viene svelato, quello che resta celato. L'infatuazione peggiorerà nel corso della prima serie (forse anche della seconda, almeno in parte), nonostante i difetti incombenti e i rischi sempre più probabili di deriva che si stanno avvicinando attraverso tunnel sotterranei e di tanto in tanto escono allo scoperto -le avvisaglie ovviamente sono presenti già nella prima puntata. Arriverà il momento, in tempi diversi per ognuno di voi, ma verosimilmente tra la seconda e la terza serie, in cui tutto diventerà troppo evidente e sarà ovvio che la serie sta prendendo una brutta strada; a questo punto però vi sarà molto difficile abbandonare questa serie tv a se stessa e con ogni probabilità vi ritroverete ad amarla nonostante i suoi difetti. Se sarà questo il caso, arriverà anche il momento successivo in cui dovrete confessare a voi stessi che, anche se non sapete bene quando è iniziato, e non riuscite a comprenderne i motivi, è semplicemente successo e, beh, è finita che avete iniziato ad amare Weeds per i suoi difetti. Fregati. Se volete una mia spiegazione al riguardo, si tratta dei due punti richiamati prima, nella quinta categoria. Avete finito per apprezzare particolari via via più eccentrici e sbagliati fino a sviluppare un certo feticismo per questi.

Che Weeds sia piena di difetti, penso sia fuori da ogni dubbio. Prendete i personaggi. Se l'abilità nel creare personaggi si mantiene anche nelle ultime stagioni a livelli insolitamente alti -si nota un certo appannamento, questo sì, ma è inevitabile ed endemico quando il ritmo delle nuove entrate diventa vorticoso ed il loro numero mastodontico- la loro gestione è per molti versi discutibile: ognuno di voi avrà motivo di lamentarsi per gli sviluppi di alcuni dei suoi personaggi preferiti (tanto per citare qualche caso, Guillermo e Shane) e, soprattutto, per la prematura uscita di scena di personaggi promettenti, che presentavano ancora ampie potenzialità non sfruttate -dicevo che i primi sentori c'erano già nella prima puntata, basti pensare alla figlia maggiore di Celia o allo spacciatore ragazzino, che avranno in seguito nutrita compagnia.

C'è ovviamente il nodo centrale della protagonista: una vera smorfiosa. Ma, ehi, quand'è che essere smorfiosi ha acquisito un'accezione così negativa? L'uso smodato e sfacciato della mimica facciale e corporale dovrebbe essere rivalutato: si tratta di un modo di esprimersi molto efficace e accattivante (noi italiani ne sappiamo qualcosa, giusto?). Il personaggio abbina a questa caratteristica uno snobismo strisciante e una accentuata capacità di finire a fare la parte della stronza: anche qui, prendiamo a martellate i conformismi che ci portano a svalutare queste caratteristiche, e avviamo la loro rivalutazione. Ovviamente, è decisamente probabile che a finire per etichettare la protagonista come smorfiosa siano le donne, per invidia. Voi, uomini, ve ne innamorerete, fidatevi di me.

Infine, non si può parlare di Weeds senza fare un accenno alle stoccate su temi politici e sociali di cui ogni puntata (o quasi) è infarcita. Forse il tratto più caratteristico della serie. Potete scommetterci sopra, su quali argomenti verranno trattati; tanto la vittoria è certa -ogni questione trova il suo posto al sole. Omosessualità? C'è bisogno di chiederlo? Iraq? Tutte le strade portano a Baghdad. Eutanasia? Saremmo proprio scemi a lasciare indietro i bocconi più gustosi. Immigrazione? Certo, sono i nuovi muri, ed il ferro dei nostri picconi è ancora bello caldo -e poi questa volta ci apriamo la strada verso tortillas e guacamole, mica bratwurst. Aborto? Beh, per forza, fa pendant. Corruzione, ipocrisia e alcolismo tutte cose endemiche, ovviamente ce le mettiamo. Questi temi verranno affrontati in modi sempre più spicci, liquidati con un'adeguata dose di superficialità e si faranno strada e seguiranno uno l'altro con ritmi ridicoli e senza nemmeno prendersi la briga di coprire la faziosità dell'operazione. Ma anche qui, ognuno potrà trovare la propria razione di conforto: nel senso di granitica superiorità con cui le posizioni progressiste sono presentate, nel caso in cui le si condividano; nella banalità con cui queste sono liquidate, nel caso in cui si sia più cinici e disincantati.

Fate quindi una scorta di pazienza, se volete dedicare parte del vostro tempo a questa serie. Si tratta di un figlio molto inquieto, che prenderà una brutta strada dopo l'altra, e finirete a passare svegli molte nottate, a controllare se il figliol prodigo si è finalmente deciso a tornare a casa, arrivando all'alba sempre più delusi e preoccupati. Ma la sera successiva sarete ancora lì a fare la guardia, pronti ad allargare le braccia colmi di perdono. Aspetteremo molto tempo, voi ed io, e continueremo sempre a nutrire la speranza, nonostante i pessimi presagi. Tornerà, prima o poi. Ci ritroveremo di nuovo. L'anno prossimo, la prossima stagione, a Gerusalemme. Preparate il barbecue, il vitello grasso e la birra; si festeggia così nei sobborghi giudeo-americani.