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martedì 24 maggio 2011

Come diventare uomini

In giusto undici tracce.

Comprarsi Highwayman (unica vera superband della storia della musica, Johnny Cash, Willie Nelson, Waylon Jennings, Kris Kristofferson) alla fiera del disco di Conegliano.


Ascoltare alla nausea "The Ballad of the Leningrad Cowboy " dal mirabile film "Leningrad Cowboys go America".

Ladies and Gentlemen,

in this town there are millions of stories,

this one is mine.

I've always been a farmer,

at Collective 49,

worked the black soil of the Russia

for potatoes and some wine.

I was happy driving tractors,

for at last twenty years,

till the local commisar let my wife disappear.


I'm a Leningrad cowboy,

raising cows on the steppe.

Won't you pour me another vodka,

cause I'm drinking to forget.


He's a Leningrad cowboy,

raising cows on the steppe.

Won't you pour him another vodka,

cause he's drinking to forget.


He's a Leningrad cowboy,

raising cows on the steppe.

Won't you pour him another vodka,

cause he's drinking to forget.


Continuare l'applicazione per almeno due settimane, se necessario rafforzare la cura con dosi abbondanti di manipolatori ascolti nel sonno. Si garantisce la scomparsa dei persistenti effetti di infanzia passata chiuso in casa con libri e tv, mentre gli altri ragazzini fuori giocavano ed esploravano. Di mancanza di figure maschili di riferimento. Di decenni di vita nella demascolinizzante società contemporanea. Risultato garantito: diventa anche tu un rude uomo virile di una volta.

Questa non è spam.

Possibili effetti collaterali: comparsa di speroni, dipendenza da fibbie di cuoio.

domenica 1 maggio 2011

Freedom of eating

E' un po' patetico citarlo per due giorni di fila, ma. Il primo maggio. Questo primo maggio. Con tutte le cose implicate: il dibattito sul senso e sui modi del manifestare pubblico; i contenuti, oltre che le forme, della giustizia sociale; l'uguaglianza come e perché; le parole-chiave che prima erano grandi processi e grandi narrative, e poi si sono trasformate in bandiere, fino a ritrovarsi slogan stantii.

Questo giorno Perle ai Porci -dall'altra parte del mondo, veramente dall'altra parte del mondo, non solo geograficamente- se ne esce con questa vignetta. E io non ho più parole, per celebrarlo.

venerdì 15 aprile 2011

Una corona per ogni menestrello

Nell'ultima settimana sulla stampa internazionale è tornato in auge il tema del ruolo pubblico ed etico dell'artista. Non tanto per un rilancio del dibattito teorico su quale sia, o debba essere, questo ruolo, quanto piuttosto una grande enfasi su una manciata di casi concreti e di polemiche. Dei concerti cinesi di Dylan e della sua accettazione di una (ancora difficile capire se effettiva o presunta) censura da parte della autorità della scaletta si è occupata in pratica tutta la stampa anglosassone. L'edizione inglese dello Spiegel ha invece pubblicato una lunga intervista all'architetto Meinhard von Gerkan. In entrambi i casi, si parla di Cina - una buona dose della mia obiettività va a farsi friggere.

Per chiudere la questione Dylan sarebbe più che sufficiente richiamare un intervento su un blog del Guardian. Quello che scrive Jonathan Jones merita di essere letto fino in fondo, ma già alcune frasi del primo capoverso rispondono più che a dovere a tutte le polemiche nate. "What a lot of nonsense: if you thought Dylan would ever take an obvious political line you haven't been following him carefully enough." "It's understandable for human-rights campaigners to wish for public support from Dylan. It is obtuse, however, for them to suggest that he is somehow betraying his own values as a political songwriter by not protesting."

L'intervista di von Gerkan merita invece un numero maggiore di citazioni. In parte perché è lecito credere che abbiamo avuto minore diffusione degli articoli su Dylan; in parte perché quello che l'architetto dice -non sempre in modo posato e lucido, a tratti spazientito dall'intervistatore- è spesso condivisibile e sempre interessante; in parte infine perché l'intervista nel suo insieme è un buon esempio di qualcosa che penso da molto ma che generalmente è difficile sostenere a dovere: se siamo sempre pronti a deprecare lo scarso servizio offerto da giornalisti ed interviste eccessivamente timidi e assoggettati, bisognerebbe al tempo stesso rivedere l'idea del giornalista come un cane ringhioso, che fa il suo dovere solo se si arma di insistenza oltre ogni limite, rifiuto sprezzante di ogni assoggettamento all'intervistato, una buona dose di malizia.

Alcune frasi di von Gerkan:

"Instead of bringing calm to the situation, actions like Ai's arrest will only incite the protesters even further. I don't understand the Chinese in this regard."
"There is no question that there are still many deplorable incidents, but one thing is clear: never in Chinese history has there been this much freedom for the individual."
"Willy Brandt said that change is possible through rapprochement, not through embargoes."
"Believe me, there is a big difference between East Germany and today's China. I experienced the East German system up close, because I studied in Berlin. What i experienced at the time -the level of inhuman behavior- doesn't exist in China by a long shot."
"Based on that argument, one would have to conclude that no one should be allowed to build in Germany anymore, either. Germany as a whole is contaminated."
"This idea of only wanting to work for private individuals is absurd. In a country like China, where does private end and where does government-owned begin?"
"You shouldn't overestimate the social role and function of an architect -even when he plays a somewhat bigger role in the public's perception, as I do. An architect has a limited ability to influence things."
"But it's also erroneous to say that the architect must realize his potential in every building. Architect must primarily react to the location."
"In the case of the National Museum in Beijing, the changes were part of a discursive process."

Quando si arriva al ruolo pubblico o sociale degli artisti, si sta un attimo a farsi fuorviare. Quelli che sostengono che questo ruolo sociale esista, e che molto spesso si sentono in diritto di giudicare se e come questo sia stato rispettato, lo fanno generalmente sulla base di uno di questi due ragionamenti. Possono essere convinti che un simile ruolo morale lo abbia ognuno, ogni persona. Oppure possono essere convinti che gli artisti abbiano questo ruolo proprio per la loro attività o visibilità, e che sia appunto questo aspetto ad assegnare loro un dovere che le persone comuni non hanno. In entrambi i casi, ci si sbaglia di grosso.

Nel primo, è più che lecito sospettare di trovarsi davanti ad un giacobino. Qualcuno che crede di aver trovato -senza possibilità di errore- quelle virtù morali che sono non semplicemente auspicabili o apprezzabili ma doverose e pretendibili. Chi non le manifesti o non le eserciti commette a tutti gli effetti un peccato od un reato -nei migliori dei casi dovrà essere chiamato a renderne conto, nel peggiore costretto a farne pubblica ammenda e rieducato, perché non accada nuovamente. Il perché si pretenda la mobilitazione morale di massa ha molto a che fare con un concetto di lunga data che da qualche decennio viene immancabilmente espresso con un verso di De André: "Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti." Balle. Davvero, balle, balle, balle. Non tutti sono immancabilmente coinvolti in ogni caso, qualunque cosa succeda, qualunque siano i diversi elementi delle diverse situazioni. Le responsabilità bisognerebbe stare attenti a maneggiarle, e ancora di più ad affibbiarle. Se qualcuno se le vuole assumere di suo conto, fantastico, ma nel momento in cui si voglia invece affibbiarle, bisognerebbe usare tutte le premure e precauzioni possibili.

Nel secondo, ci troviamo di fronte ad una mania abbastanza diffusa. Le persone pubbliche, soprattutto se si tratta di attori, scrittori, musicisti, finiscono sepolte sotto una marea di doveri che abbiamo deciso unilateralmente di assegnare loro. C'entra la falsa prospettiva da cui le guardiamo, per cui finiamo per spogliarle dei normali elementi di umanità che proviamo per chiunque altro ci stia vicino. C'entra il modo in cui avvertiamo i mille privilegi che attribuiamo loro -in parte questi privilegi ci sono, in parte li ingigantiamo, in parte non siamo minimamente disposti a considerare i molti svantaggi che costituiscono l'altro lato della medaglia. Un artista in realtà ha, nei confronti del proprio pubblico, ben pochi doveri. Pubblica un'opera e la condivide con il pubblico, con chi si dimostra disponibile a leggerla, vederla, ascoltarla. La decisione di leggerla, vederla, ecc. è presa di propria spontanea iniziativa da chi ne usufruisce -senza alcuna costrizione dell'artista. Questo artista ricava (al giorno d'oggi: per quanto possibile) un compenso per l'aver impiegato le proprie capacità nella produzione di un'opera. Se l'opera si rivela essere di basso valore, chi ne entra in contatto non acquista un diritto di rivendicazione nei confronti dell'artista; ha pieno diritto di esprimere la propria opinione e diffonderla, ma l'artista non è in alcun debito nei suoi confronti. E' lecito aspettarsi che un artista, nel lavoro di produzione di un'opera, impieghi una buona dose di diligenza. Al tempo stesso, nel momento in cui un'opera è prodotta e diffusa, non vedo il motivo per cui l'artista senta nei confronti di questa un dovere di fedeltà assoluta per l'eternità.

Questo vale, per esempio, anche per Bob Dylan. La sua carriera è stata lunga e piena di svolte. E' cambiato lui, è cambiata la sua ispirazione, sono cambiati i tempi. Bob Dylan non ha mai fatto mistero di ritenersi di volta in volta molto lontano dalle sue fasi precedenti. Ha continuato a cantare determinate canzoni nei concerti perché sapeva che molti si aspettavano questo da lui. Ma lo ha fatto decidendo sempre in relativa autonomia la propria scaletta, secondo le sue preferenze o, perché stupirsene, per convenienza. Pretendere che un artista vada contro la sua convenienza è sciocco. Nel momento in cui Bob Dylan è salito sul palco in Cina, aveva un unico obbligo: fare un buon concerto, cercando per quanto possibile di dare vita ad uno spettacolo che potesse avere una qualità sufficiente a soddisfare il pubblico. Le cronache lette sulla stampa non si avventurano mai a dare un giudizio sulla qualità del concerto. Spesso descrivono la tipologia di pubblico: sorge più di un dubbio che il pubblico presente si aspettasse, o desiderasse ardentemente, una "Blowin' in the Wind" o altre canzoni politiche. In parte era lì per la musica, e provate a chiedere a qualcuno che di musica ne capisce, di Dylan, e vedete se non vi parla di Highway 61 Revisited o di Blonde on Blonde (canonico), di Pat Garrett & Billy the Kid (multimediale), di Desire (ritardatario) oppure di Nashville Skyline (alternativo) o di Blood on the Tracks (particolarmente saggio). Per arrivare a The Freewheelin' Bob Dylan dovrete trascinarcelo, e allora vi parlerà di Girl from the North Country o di Don't Think Twice, it's All Right. Dovrete inchiodarlo, per farvi parlare delle canzoni politiche di The Freewheelin'. E allora a quel punto vi parlerà di Master of War o di A Hard Rain's A-Gonna Fall. Oppure erano lì per il simbolo, e per loro poteva anche starsene zitto, una volta salito sul palco.

E se Bob Dylan si fosse dato alla nuova svolta folk-di protesta? Chitarra imbracciata e versi taglienti verso il regime? Beh, lecito aspettarsi una nuova stretta verso la presenza degli artisti occidentali, come dopo Bjork. Poche notizie su Dylan in giro, magari nessuno scopre che ha scritto certe canzoni nella prima fase della carriera. Minore possibilità di conoscere l'arte occidentale -molte meno persone, magari, che scoprono Neil Young (Keep on rocking in the free world). Ma vuoi mettere? Bob Dylan che suona Blowin' in the Wind!

domenica 3 aprile 2011

"E' una ruota che gira...

...che gira e se ne va, ma ritorna e dopo parte, gira gira e se ne va" (cit.)

* una ragione per cui sarebbe sbagliato scriverci Sarkozy.

** una seconda ragione per cui ecc ecc.

*** il 100% della persona campione intervistata ha concordato nell'individuare Bidasio come simbolo più esemplificativo dell'inferiorità e del basso valore del popolo della Destra Piave. Perché, nonostante ora anche le liste elettorali avvallino varie voci sull'esistenza di una Razza Piave, è più che evidente a qualunque persona dotata di comune buonsenso e di discreta capacità di osservazione che le persone punite da Dio con un'origine DP manifestano nasi larghi e schiacciati, pigmentazioni meno eleganti, capelli che inevitabilmente si sviluppano in nidi indistricabili e dall'aspetto sgradevole e, a differenza di quanto sarebbe lecito attendersi a questo punto, misure decisamente inadatte a soddisfare una donna. L'identità della persona campione verrà ovviamente omessa, a tutela della privacy e per evitare spiacevoli incidenti.

sabato 12 marzo 2011

In questo momento medesimo.

Anche se impossibilitato ad essere con voi, causa salute cagionevole, sappiate che sono con voi, in piazza, nelle strade, a manifestare per la Costituzione, per l'istruzione pubblica, per l'istruzione pudìca, per l'indignazione, per la magistratura, per la fritura (de pès), per le torte di limone fatte come una volta, per il cavolo cappuccio.

Oh, se ci fossi, che slogan accattivante avrei trovato, per la difesa del cavolo cappuccio.

Ma non temete, vi seguirò orgoglioso da Rai News. Resisterò fino all'ultimo, fino allo stremo - che immagino coinciderà con l'intervento di Fo, se la volta scorsa mi ha insegnato qualcosa.

(come si fa a non trovare adorabile delle gente che si è scelta come slogan un non-sense logico? Partecipazione ed ardore fin oltre il senso del ridicolo).

domenica 13 febbraio 2011

Almeno portate fuori la spazzatura, quando uscite.

Adesso tutti a guardare la Tunisia, l'Egitto, l'Algeria, probabilmente lo Yemen, la Siria difficile. Quotidiani e riviste fanno ricomparire i politologi, per il resto del tempo ammucchiati nei ripostigli (salvo rari casi) , e infatti sono impegnati a spazzare via i pezzettini di naftalina, mentre ne ospitano interventi o li intervistano. E visto che al cittadino medio (ma anche al lettore di quotidiano medio, al giornalista medio, al direttore di giornale medio) proprio non riesce di farsi una qualche idea su cosa possa essere una scienza sociale, già spunta più di un'accusa -in alcuni casi addirittura autoaccusa di un membro della categoria- simile a quella contro gli economisti allo scoppio della crisi.

Ma come diavolo è possibile che sia successo questo '48 senza che nessuno -nessuno- di voi ne avesse almeno un sentore? Ma a che diavolo ci servite, se non riuscite a darci una previsione mediamente accettata e condivisa di cosa succederà adesso?

Come se la politologia servisse a questo.

Effetti collaterali.

Una delle conseguenze dei fatti di queste settimane è che molti iniziano a sospettare -azzardiamo un capire?- quello che molti di noi universitari sospettavano -avevano capito- già da tempo.

Bocconi in fondo è solo un nome.

sabato 29 gennaio 2011

Ultime trovate contro la cronaca.

Ci sono persone che ci provano. Vengono a patti con i propri limiti -ne vengono a capo, si potrebbe anche dire- e con quel che resta si danno da fare. Compiono con professionalità il proprio lavoro e quello di uno si unisce a quello dell’altro, ed ancora, più volte, questi sforzi tenaci si uniscono, si rafforzano a vicenda, si saldano a formare un insieme di qualità, qualcosa che possa migliorare, in qualche modo, la vita degli altri. Ci sono persone poi, altre persone, che nel seguire queste strade, a testa bassa e con tenacia, meritano ancora maggiore attenzione. Perché in questo loro lavoro sono chiamati al sacrificio e all’abnegazione. Perché per loro potremmo scomodare – dal vocabolario della nostra mitologia civile – il termine eroe. E il suono altisonante, la luce classica che questa parola si porta dietro sono cose che arrivano dopo, a posteriori, a volte tirate per i capelli per un tentativo sghembo di risarcimento. Di classico addosso a quella parola, nel durante, non resta che la tragicità. E, una volta preso su di sé questo fardello, non ci si può nemmeno aspettare qualche piccola agevolazione, ma ostacoli anzi. Capita di ritrovarsi di fronte i demoni passati e capire che non erano scomparsi, si erano solo messi calmi in attesa del momento più duro per tornare più forti, marciare su un campo già vinto. Di vedersi scarnificare, strato a strato, di tutti gli ambienti confortevoli in cui si giocano i diversi ruoli della vita; tutto strappato lontano, finché non rimane altro che quella missione, bestia affamata e gelosa. Di smarrirsi e non riuscire più a capire, di dubitare sempre di più, più di quanto sia normale, o lecito, o auspicabile; di dubitare di se stessi – non delle proprie capacità, o motivazioni – della propria stessa esistenza – se è scritta, quante pagine ancora? Perfino di essere certi che non ci sia altra scelta, che solo annullandosi si potrà dare un contributo, che annullarsi è il solo contributo che ci è possibile – non si è destinati a sfide più grandi, per quelle restano i compagni, andandosene arriverà l’attenzione di molti e per alcuni, tra tanto orrore, la speranza – chi combatte per noi mette in conto la morte, la accetta, e lotterà anche oltre questo tabù ultimo.

Ci emoziona conoscere le storie di questi eroi. Non è così semplice passare sopra l’enfasi che li anima, il loro puntare dritto verso la Verità. D’altronde, è rimasto qualcosa che ci spaventa più dell’incontrare una maiuscola sulla nostra strada? L’idea che qualcuno ci creda, alle maiuscole, che ci corra incontro, che si senta chiamato. Le vocazioni sono pericolose, ci è stato insegnato, portano da brutte parti, il fanatismo, un furore che brucia. Ma probabilmente non è il caso di tenersi stretti tutti questi pudori – mollare gli ormeggi, le reticenze; abbracciare per una volta una causa per intero, abbandonandosi ad essa, senza lasciarsi frenare dai dubbi.

Ve ne convincerete di sicuro appena farò cenno al fatto che questi eroi, raminghi alla ricerca disperata della Verità, si trovano di fronte un pericolo ben più oscuro. Forze nere che li boicottano, che cercano in ogni modo di condannare all’insuccesso i loro sforzi, di metterli a tacere invocando le più odiose maledizioni. Di sicuro non li anima qualcosa di minore del Male. E qui arrivo al punto: se non siamo pronti a vestire i panni degli eroi, se non siamo propri adatti, cosa possiamo fare almeno, per aiutare chi combatte per noi? Farci vedette e sentinelle, guardar loro le spalle, sperando con questi piccoli sforzi di evitar loro qualche tranello. E quale fortuna, vivere oggi, quando in mille modi sempre nuovi questo compito viene agevolato. Non aspetteremo un momento di più, faremo finalmente la nostra parte. Vestiremo questo ruolo alla luce del sole, facendo sapere a tutto il mondo che parte abbiamo preso, bardando la nostra immagine con simboli e slogan. Riporteremo le frasi taglienti, lanciate dagli eroi contro gli oscuri signori, sulle nostre magliette, o gadget adatti. Apporremo il nostro sigillo in calce ad ogni strale, ad ogni invocazione, per dare ad essi una voce più grossa. Ci affideremo, per abbeverarci di quei stralci di verità che gli eroi avranno strappato al grande complotto, a quei cantori che hanno dato prova della loro fedeltà alla causa, loro che soli mossi da grande coraggio hanno urlato contro le mura più dure i fatti accaduti, raccogliendo di decina in decina le bugie trafugate, le omissioni spacciate. E se migliaia navigano, ognuno avrà cura di chiamarne altri a migliaia, finché almeno dieci milioni – madonna, quanti – saranno schierati. Sarà il momento della battaglia campale e non mancheranno striscioni e buone intenzioni.

Ma prima di arrivarci, dobbiamo muovere un passo d’inizio. Dobbiamo capire per quali battaglie vale la pena lottare. Ne troverete anche voi almeno una, come già ho fatto io – quella che vi sembrerà la più importante di tutte.



FlashForward 18 maggio 2010

venerdì 14 gennaio 2011


Ho parlato più di una volta in questo blog della sensazione di sentirsi sempre meno di sinistra. Potrà valere molto poco dal punto di vista pratico (come se avesse un senso definirsi di sinistra ora che le categorie ideologiche ecc; come se fosse sensato muoversi, posizionarsi, trovarsi a causa dell'identificazione in una fazione invece che prendere coscienza dei singoli elementi delle diverse situazioni concrete ecc.). Ci pensavo giusto oggi, nella tentazione di scrivere su Twitter "devo muovermi ad invecchiare, altrimenti divento un patetico giovane reazionario, e non un arcigno vecchio reazionario". Sul piatto della bilancia, tra i vantaggi, posso di sicuro mettere la perdita della capacità di indignarsi. Chissà a quanti sembrerà una bestialità, ma è un passo in avanti notevole. Perché se ci si fa prendere da quella tipica indignazione montante (ogni indignazione è montante e si autoriproduce, si avrebbe la tentazione di dire), quanto ci si rovina il fegato, quanto ci si riduce a macchietta (per quanto di moda, oggi), quanto si finisce sempre lontani dall'avere la capacità di capire, o almeno di cogliere, la portata intera della situazione che abbiamo davanti.

Quando poi succede ancora, di indignarsi, invece di concentrarmi su questa, finisco a perdermi a notare tutte le sensazioni che mi dà, questa specie di ritorno. Bisogna ammetterlo, una sorta di ventata fredda sul viso, rinvigorente (il mondo migliore, ancora! Robespierre, Robespierre). Ma subito dopo come se si fosse spinti a forza in una stanza tremendamente piccola, che andava bene da piccoli, ci si stava comodi e c'era pure lo spazio per disegnarsi attorno avventure continue. Adesso è stretta, ci si sta scomodi e inadeguati.

Mi è capitato qualche giorno fa, perché Signori miei dove sta andando a finire la stampa. Con sorpresa, per un articolo sul Foglio di Buttafuoco. Perché, diciamocelo, il Foglio è un ottimo giornale di opinione. Dite che devo metterci un "nonostante tutto"? Non ho problemi a mettercelo: anche per me c'è un enorme nonostante tutto. E, spariamola pure grossa, dirà quello che dirà, sarà quasi mai condivisibile per noi, ma al di là di contenuti e opinioni, non è spesso un gran piacere leggere qualcosa di Buttafuoco? E anche la rubrica non prometteva male! Scorretta e impertinente (ma l'impertinenza non è un valore nella stampa? Non gongolavamo quando il nostro Riformista nel jingle di qualche tempo fa si definiva il Pierino della politica?) finché vuoi, ma divertente davvero. Basti leggere della Bruni e di Moratti (Hubbbbner. Il Darione che ha giocato anche nella Pievigina!) per farsi un'idea. Ma il pezzo di Buttafuoco su Magris, quanto cattivo gusto. Un giudizio che può essere accusato di tutte le aberrazioni imputate a Magris nell'articolo stesso. Rigidità, soggezione al luogo comune e al perbenismo, grigiore. D'altronde sono di parte, per Magris ho sempre avuto un'infatuazione (per il Magris editorialista, a dire il vero, del resto non ho letto nulla). Eppure devo ammettere che. Probabilmente tutte le critiche che gli vengono mosse non sono poi così infondate (e d'altra parte: in fondo il buon senso non è spesso privo di guizzi, vicino a qualche luogo comune, e via discorrendo?). Rimane la questione del "modo e modo" e direi che è stato passato il segno. Squadraccia? Olio di ricino? Confino? E' un gioco, certo, va bene. Anzi, va bene fin là, non troppo in là.

Ma l'esempio peggiore è Mimun. Direte (potreste dire, avendo ragione da vendere): beh, ti aspetti qualcosa da Mimun? La colpa è tua, che leggi cosa scrive. Lo ammetto, peccato mio. Ma ho sempre avuto un debole per le riviste, ed in casa mia solitamente passa giusto Sorrisi e Canzoni. Nel quale, dopo una decina di pagine circa troneggia ogni settimana un editoriale del nostro. In questo numero non si è nascosto ed ha affrontato di petto uno dei fatti della settimana, con buone dosi di coraggio. Controcorrente: Lula ha fatto bene con Battisti (l'ho colto il lieve retrogusto di sarcasmo, non preoccupatevi). Diciamocelo. L'avessero portato qui, qualche giudice connivente l'avrebbe lasciato uscire dopo poco. E, per di più (pensi, signora mia), quei pochi anni dentro li avrebbe passati in modi da nababbi (lo sanno tutti, in fondo, che nelle carceri italiane si sta da dio. Se qualcuno si suicida è perché a finire lì dentro è gente per forza tarda, che non sa capire in che paradiso sia finita) e fuori l'avrebbero aspettato di nuovo l'editoria furbetta, le ospitate faziose, la santificazione bastarda. Per cui che se ne stia in Brasile dove, tra vizio e vizio, lo coglierà la malattia ed il dolore e che ci pensi il Padre Eterno alla giusta punizione. Non sbaglia, lui.

L'indignazione è da tutte le parti allora. E in fondo conta poco la parte a cui ti senti affine (oh, dirlo dopo tutte le volte che abbiamo ascoltato "occorre essere attenti e scegliersi la parte dietro la Linea Gotica"), è altro che conta davvero. L'importanza di non essere Mimun.

domenica 26 settembre 2010

Ciò che scompare.

In molti ambiti, in particolare sulla stampa tradizionale, sembra che parlare di Internet coincida sempre più con il parlare di Facebook. Oppure che sia ancora possibile parlarne in termini più generici ma attribuendogli comunque i caratteri che sono propri di Facebook, e identificandolo con dinamiche che sono proprie di quel network. Il problema principale sembra essere il permanere di dati ed informazioni nel lungo periodo, oltre il periodo temporale in cui la loro presenza aveva un senso. Tutto rimane, e tornerà a perseguitarti quando meno te lo aspetti; per cui, attenti. Ne ha parlato anche Obama, per dire. Questioni pesanti. E decisamente ingigantite e sopravvalutate, aggiungerei. In una certa misura fittizie, perfino: non è vero, in molti casi, che le tracce non possano essere cancellate e che ciò che viene pubblicato finisca al di fuori del nostro controllo. Infine, non si tratta di qualcosa di nuovo: è una dinamica che è sempre esistita anche nella vita nelle comunità reali. Le informazioni rilasciate circolano in ambienti più grandi di quelli a cui le avevamo indirizzate, e hanno tempi di smaltimento più lunghi di quanto potessimo immaginare. Non si presenta quindi la necessità di mettere in guardia qualcuno da insidie nuove e impreviste: i rischi, quando esistono, e quando sono rilevanti, erano già presenti nella quotidianità e chi rischia di incapparci era già in precedenza in qualche modo inadeguato a situazioni che poteva vivere nella vita reale. Si tratta di persone che non hanno mai saputo cogliere uno degli aspetti fondamentali della comunicazione umana: il suo svilupparsi attraverso diagonali asimmetriche. Concediamo a persone diverse di conoscere la nostra identità a gradi diversi per qualità, profondità, estensione; proprio registrando e adattando queste asimmetrie possiamo dare ordine e orientamento alle nostre relazioni sociali, tenendole sotto il nostro controllo. Non ci si deve fare un'idea troppo negativa del fenomeno, come se ci nascondessimo dietro molte maschere, scelte di volta in volta sulla base dell'interlocutore. Il concetto di maschera è sopravvalutato, in sociologia. Semplicemente la nostra identità è estesa e multiforme e quasi mai riesce a manifestarsi interamente; a seconda delle situazioni scegliamo quindi quale parte di essa è possibile ed adeguato esporre.

Mi sembra molto più interessante il tema opposto. Ciò che da Internet scompare. Sono sicuro che da questo argomento si potrebbero tirar fuori dei validi racconti. Alcune cose da Internet vengono cancellate, con il tempo; ne derivano grossi rammarichi. Ne siamo venuti a conoscenza troppo tardi, non in tempo per poterne usufruire. Oppure, proprio sulla base di quella presunzione di conservazione per tempi indefiniti che è sempre più diffusa, le avevamo lasciate in stand-by, consultandole di tanto in tanto, in modo frammentato, a piccoli grappoli, contando su una loro costante presenza. A saperlo, c'avremmo messo più impegno. Due esempi personali: il blog di qualcuno prima che vincesse il campionato del mondo (c'entrava il cristallo, credo) -troppo tardi; il blog della Came su Splinder, il miglior blog personale che abbia mai avuto modo di leggere -saltuariamente-, capace di coinvolgere, turbare, impensierire e lasciare ombre ed aloni -quanti post persi e quante occasioni. Rammarico, dicevamo.

Imparare a gestire gli addii.


C'è stato un tempo in cui stavo con qualcuno che in quella foto sembrava un'attrice francese, di quelle che a voler accarezzare loro i capelli ti riempivano le mani, e non bastava, perché c'erano molti altri ancora.

domenica 29 agosto 2010

C'è già stato un Bulgakov o un Conrad prima di te.


Io nemmeno sapevo dell'esistenza di Neil Gaiman. Ci sono arrivato per le vie strette e tortuose di Internet. E dire che la modernità doveva farsi largo a forza di spaziosi boulevard; troppi inconvenienti con le barricate. Va a finire che per portare al livello successivo l'ossessione che mi sta montando per Amanda Palmer e, andando dal tutto ad una parte, per il suo account Twitter, mi metto a cercare notizie su questo suo fidanzato, che sembra essere una personalità artistica particolarmente prolifica e -molto- famosa. Nell'ora, abbondante, successiva passo in rassegna schede di Wikipedia, trame dei suoi romanzi e delle sue sceneggiature, critiche delle stesse. E' uno di quei momenti in cui maledico con insistenza il non essere cresciuto negli Stati Uniti o per lo meno in un Paese anglosassone (no, al diavolo, Stati Uniti e basta). Perché, per come sono fatto, se fossi cresciuto in un ambiente simile ora possiederei una meravigliosa e confortante cultura pop, che pettinerei per ore in uno stato di auto-esaltazione, che sarebbe una perfetta coperta di Linus per i momenti di crisi interiore: bando alle ciance e alle depressioni, ho sempre lei! Ho letto, ascoltato, guardato, accumulato ricordi e citazioni in scatoloni sempre più grandi, riempiendo lo spazio attorno a me; non posso mai essere solo. Perché potete raccontarvi molte balle, ma la verità è una sola: fuori dal mondo anglosassone, questo non è possibile; potete cercare di costruirne comunque una brutta copia, ma arrancherete sempre, affannandovi a tappare le fallementre il divario continuerà ad allargarsi. Momenti del genere non sono certo rari; è come quando dovete affidarvi ad un motore di ricerca per non essere riusciti a cogliere subito un riferimento di Perle ai Porci o dei Boondocks. Una volta, per prevenire, c'era almeno Condor; ora c'hanno rubato anche quello. Voglio una cultura pop molto più densa.

Ma c'è una frase di Neil Gaiman sulla pagina inglese di Wikipedia, con cui fare i conti (ovviamente si tratta di qualcosa che avete sempre saputo, e non è certo Gaiman a farvi sorgere per primo pensieri simili. Ma questa frase arriva come un fulmine a ciel sereno, mentre eravate persi tra pensieri opposti, e lo spiazzamento è grande); non è tutto così semplice.

“One of the joys of comics has always been the knowledge that it was, in many ways, untouched ground. It was virgin territory. When I was working on Sandman, I felt a lot of the time that I was actually picking up a machete and heading out into the jungle. I got to write in places and do things that nobody had ever done before. When I’m writing novels I’m painfully aware that I’m working in a medium that people have been writing absolutely jaw-droppingly brilliant things for, you know, three-four thousand years now. You know, you can go back. We have things like The Golden Ass. And you go, well, I don’t know that I’m as good as that and that’s two and a half thousand years old. But with comics I felt like — I can do stuff nobody has ever done. I can do stuff nobody has ever thought of. And I could and it was enormously fun.”

Perché, in realtà, la maggior parte del tempo sono perso in riflessioni del tutto opposte. Per esempio: vivere oggi, sotto questo punto di vista (solo sotto questo, probabilmente) è una gran fregatura. Non si può non rimpiangere l'epoca dei pionieri, quando molti stili e forme artistiche erano ancora sconosciuti e lungi dall'esistere, quando nuovi stili e nuove forme potevano essere create dal nulla, quando gli spazi erano ampi, tutto era verde e lussureggiante e potevi essere tu il primo a lasciarci un impronta. L'età delle scoperte e delle grandi invenzioni.

E non si tratta di un sentimento molto nobile questo. Non è l'intenso desiderio di dare il proprio contributo all'esplorazione; non è lo sfogo dell'ardore, del coraggio, dell'amore per il nuovo. Sotto molti punti di vista è una forma di pigrizia e di indolenza. Perché territori artistici vergini oggi esistono ancora, là oltre l'atmosfera, ma per esplorarli bisogna tirarsi a lucido, rimboccarsi le mani, studiare e raggiungere l'eccellenza, sperando che ci sia data l'opportunità di fare gli astronauti. Una volta non era mica così. I pionieri, i colonizzatori, non dovevano poi essere chissà quali spiriti nobili, ed anzi spesso non erano altro che carcerati (attuali, od ex), pochi di buono, criminali o la feccia più emarginata. Quando lo spazio era tanto e facilmente accessibile era tutto una cuccagna.

Non è poi molto giusta, questa cosa. Puoi anche avere un'idea brillante, con l'isolato sforzo della tua mente, ma è solo questione di quanto tempo ed energia vuoi impiegare nella ricerca e se fai le cose per bene scopri di sicuro che un discreto numero di altre persone l'hanno già avuta prima di te, e si sono presi la briga di svilupparla sufficientemente bene da non lasciarti la possibilità di aggiungere qualcosa di rilievo. Niente da fare, Cuore di Cane, Il Signore delle Mosche e Cuore di Tenebra sono già stati scritti.

Certo, non facciamo troppo i melodrammatici. Non è una trappola poi molto letale. Basta mettersi il cuore in pace, riflettere a mente fredda, e accettare l'idea che, per quanto troverete sempre qualcuno disposto a sostenere il contrario, il culto della novità che regna è senza dubbio pompato e non è per nulla necessario perdersi in foreste fitte, lande desolate, sentieri impraticabili; una sigaretta, una birra e passate in rassegna le solite strade abituali, confortevoli, tirando fuori quello di buono che è possibile. Ma a mente fredda, appunto; a mente fredda non c'è grande spazio per le soddisfazioni, e non si arriva certo dove c'eravamo prefissati.

giovedì 8 luglio 2010

Un ometto, ormai

Se uno è fortunato, davvero fortunato, ha una cosa in più degli altri. Beh, a dire il vero sono molti, questi possibili vantaggi comparati con cui spiazzare la concorrenza, sul mercato internazionale. Ma quando si arriva alla vita personale, lì il vero vantaggio è uno solo: la consapevolezza. Gli altri ondeggiano immersi in situazioni, contesti, sistemi, come se fossero al centro di un budino o una gelatina e, ovviamente, ovattati in quel modo, non capiscono niente di quello che succede attorno. Ma tu no, tu vedi i singoli avvenimenti mentre accadono, li isoli, e li comprendi. Che sia chiaro, questo non ha alcuna ricaduta pratica, e ad essere venali non ci guadagni niente. Ma ti accontenti, non è in fondo poco riconoscere i passi importanti della propria vita, i singoli momenti che, boom, ti rendono più maturo.

Succede per esempio quando smetti di innamorati di attrici, cantanti, cantanti-attrici. E ti innamori di una scrittrice. Hai raggiunto una certa profondità. Ben fatto, amico.



domenica 27 giugno 2010

And me too, to tell the truth


Capita delle volte che le principesse, gli eremiti o i maghi scendano dalle proprie torri bianche, quelle costruite in pietra con uno stile un po' sorpassato, in cui le cose succedono di secolo in secolo senza prendersi la briga di un minimo di vitalità. Si tratta di avvenimenti con ben poco preavviso, e ci si ritrova come fuori la hall in pigiama dopo l'allarme, ad improvvisare un certo stile. Fortuna che nelle fiabe le compagnie sono sempre di ottimo livello, tra cavalieri disarcionati che non perdono tempo a leccarsi le ferite, paladini ben piantati, dolci animaletti e fate scarlatte (ci sono anche gli orchi verdi, certo, ma ormai da un pezzo non mangiano più i bambini). Non che basti, per poter contare su un lieto fine. Quando torniamo alla nostra Contea scopriamo di avere un paio di pesi in più da portare sulle spalle e di fare un poco più di fatica a risalire le scale per la stanzetta su in cima (e ci chiediamo quanta fatica in più ancora faremo, quando capiterà di doverle riscendere). Fossimo persone che confidano agli altri le proprie emozioni, sfoglieremmo un vocabolario sinceramente un po' tetro. Scomoderemmo paroloni come inquietudine, malessere, inadeguatezza; cavalli di ritorno dai tempi passati e non più scatoloni di sabbia. Gran fortuna il riserbo, vero?

Non è solo una serata presa per il verso sbagliato. Non è semplicemente trovare avvilente la cronica incapacità di avere a che fare con gli altri con naturalezza; calmi, tu ed io, voi ed io, due chiacchiere ed una condivisione sincera, no, non così, aspetta, niente, non viene. Non è la mazzata di una massa di persone da cui si dovrebbe scappare a gambe levate; molesti, modesti, mediocrità in libera uscita, la foga di riempirsi la bocca di goliardia, l'ammassarsi per ondeggiamenti e gesti imbarazzanti, lo sgolarsi per coretti e canzoni proprio divertenti; quintalate di carne a perdere, e qual è il senso di tanta umanità sprecata? Non è nemmeno la soffocante incapacità di passare sopra tutto questo conservando il senso del limite ed il controllo. È che, nonostante tutto, continua a valere la pena, di restare immersi in quello che ci sta attorno, e se ne potrebbe ricavare qualcosa di buono, ad essere capaci di un'osmosi sana. Bisognerebbe svegliarsi la mattina avendo la continua ossessione di voler dare una voce a questa ricchezza caciarona, e ne uscirebbe una musica densa, a grumi, piena di suoni ché non sarebbe proprio possibile inserirne uno di più, ci sarebbero i fiati, e per forza!, e pure un buon basso (raccontare la vita senza un basso? Ma sei pazzo?), con vari generi, ma mica messi in fila, eh, tutti ammucchiati, tenuti insieme da spinte promiscue (e se la voce è quella che è, sei forse sordo, che ti perdi a criticarla? Non senti tutto quello che ci capita attorno? La voce è quello che deve essere, la voce di un passante preso in mezzo). Perché la vita è bella anche in esilio, si trova sempre qualcosa a cui aggrapparsi, che siano fianchi, luci, o gli altri, e se hai un minimo di culo ti capita anche di sopravviverci insieme, alle sbornie, ai momenti così, alle inadeguatezze, alla propria anima (all'ossessione per le donne mi sa di no, invece, sarà perché hanno sempre un odore migliore). È che mi sveglio, mattina dopo mattina, e la detesto la musica che ne uscirebbe: credete forse che non lo sappia già, tutto questo? Credete che abbia bisogno di farmelo ripetere da voi, ad ogni play? Non vi passa per la testa che ci abbia provato, più di una volta, e che non mi riesca, e non ci sia niente da fare?

La principessa torna a casa, risale le scale sbuffando e a fatica (quei pesi in più, ricordate?) e come musica intreccia un blues scarno e poco originale, lungo lungo, se lo gettasse dalla finestra arriverebbe fino a terra. Per le stagioni a venire si fustiga, nel tempo del disgusto, per le proprie manchevolezze, ancora e ancora, di tempo ne ha, il prossimo avvenimento è atteso tra un secolo. Questa torre è abitata da una principessa alquanto masochista.

giovedì 27 maggio 2010

Si vive insieme, si muore soli


Il Tg3 della notte non è certo un campione di imparzialità e la loro corrispondente dagli Stati Uniti non può certo vantare particolare brillantezza. Eppure, anche tenendo a mente questo, sono rimasto decisamente spiazzato, qualche sera fa.

La giornalista riportava baldanzosa una dichiarazione del presidente Obama a Napolitano, in visita negli Stati Uniti. In soldoni: l'America ci tiene a conservare un rapporto con l'Europa, ma nel quadro multipolare della relazioni con i Paesi Asiatici, il Brasile, ecc ecc... Posso capire che non le sembrasse vero poter usare finalmente la parola multipolarità con tono propositivo e non polemico nei confronti dell'America (eh, basta farsi un giretto di una decina di minuti su Camilloper farsi un'idea di quanto sia cambiata la politica estera americana), ma non ci si è resi conto neanche per un istante delle ricadute di questa posizione?

Il rapporto transatlantico è logoro ormai da decenni, senza che ci siano stati segnali di recupero importanti (non so quante volte ho sentito citare, nell'ultimo periodo, la battuta di Kissinger sul numero telefonico dell'Europa, ed eravamo con Nixon -uhm, o Ford, ricordate?). Di fatto, un legame stabile tra Europa e Stati Uniti, in cui entrambe le parti riconoscano nell'altro un pilastro fondamentale della propria proiezione internazionale, in cui ci sia una comunanza di intenti e di posizioni (o in cui si sappia trovare una sintesi tra diverse posizioni, in nome di una compattezza giudicata prioritaria al perseguimento dei propri interessi), non esiste più. Ma, almeno nella forma, un certo riguardo reciproco lo si era sempre conservato.

Ora, sembra che anche questa patina di formalità sia venuta meno. Il primo viaggio di stato ufficiale della Clinton in Asia e non in Europa (novità assoluta), tanti piccoli indizi nel corso della crisi, la fantomatica (sì, sì, fantomatica, per un po' possiamo ancora stare tranquilli) Chimerica profetizzata nei giornali. Frasi come quella indicata prima. Non so quanto ci sia da rallegrarsi, di questa nuova piega.

Se non altro, una cosa positiva c'è. Una freccia in più nella faretra di quanti pensano che le inflazionate teorie di Huntington sullo scontro di civiltà fossero, detto fantozzianamente, una boiata pazzesca.


mercoledì 16 dicembre 2009

Logorroico lo nacqui


Dato che ultimamente anche solo i miei commenti tendono ad essere più lunghi dei post delle persone normali, vediamo di darci forzatamente una regolata.

Tema: recensisci in non più di dieci parole il nuovo album degli Arctic Monkeys.

Svolgimento: Qualcuno ha dato loro degli acidi, ce li siamo giocati.

martedì 3 novembre 2009

Allora...sostituiamo baby con Jesus...

Era fin troppo scontato che scrivessi un post sulla faccenda del giorno, eh? Allora giro al largo, e butto lì qualche sommaria e non ben costruita riflessione corollaria, venuta leggendo più che altro i commenti lasciati sul sito del Corriere.
  • Uno dei miei blog preferiti è sempre stato Wittgenstein. Apprezzo molto i ragionamenti di Sofri, mi capita spesso di entusiasmarmi per la sua ironia, trovo geniale il modo in cui utilizza lo strumento comunicativo "blog". Non ho mai concordato però con quella cosa di non ospitare commenti. Forse mi sto ricredendo, però.
  • Alla luce di quella poco attraente accozzaglia di commenti, spesso un grumo di rancorose invettive, visione non nuova tra le pagine di interventi dei lettori, almeno su quel sito, posso trovare un pochino più comprensibili le (tuttavia infondate) reticenze e diffidenze, nei confronti della rete, della blogosfera, ecc. ecc, da parte dei giornali. Certo, a voler essere pignoli, parte della colpa è forse degli stessi quotidiani italiani, che invece di sfruttare le opportunità offerta da internet, ospitando nei propri siti ampliamenti, approfondimenti, contenuti nuovi rispetto alle edizioni cartacee, cogliendo il potenziale a disposizione, creando sul web una versione meno generalista e "sbrigativa", creando un polo capace di attrarre e stimolare le persone più interessante ad informarsi, capire, discutere con civiltà, si limitano a copincollare gli articoli che già si trovano in edicola, riducono i contenuti nuovi a gallerie di foto seducenti, o divertenti, o stravaganti, mettono a disposizione solamente qualche piccolo video o file audio. In questo modo si crea un ambiente fertile per la riproduzione dei soliti commenti da bar, per come la vedo io.
  • Il fatto che ci si accanisca a definirla "quella signora finlandese" (quando l'articolo, sperando sia corretto, spiega chiaramente che si tratta di una cittadina italiana, di origine finlandese) e che la si inviti a "tornarsene a casa, se non le va bene qui" (quando è questa casa sua), la dice lunga sul perché in Italia i problemi di integrazione e di rispetto dello straniero travolgano ogni precisione ed ogni buonsenso. Travolgano la cittadinanza stessa. Poi non stupisce che di fronte ad una proposta bipartisan, moderna, colma di buonsenso (scusate la ripetizione) come quella sulla cittadinanza, si alzino simili barricate. Ciò che stupisce è vedere che a parlare di radici italiane, di nostra cultura, di tradizioni nazionali, di indipendenza, rispetto ed onore del paese, siano persone pronte in un attimo a calpestare senza la minima remora quell'istituto giuridico che stabilisce chi sia italiano o meno, chi sia un nostro compatriota e chi un "intruso", che cementa la patria da difendere.
  • Tra i mille paragoni strampalati che vengono tirati in ballo (strampalati perché il torpore da ufficio non mi concede abbastanza grinta per definirli oltraggiosi, fuorvianti, imbecilli), quello più ricorrente (et dai) è quello con il burka. Questi s*****i vengono qui a comandare da noi e ci fanno togliere il simbolo più importante della nostra cultura(sic)? Allora che vadano pure dalle mussulmane a far togliere loro il burka. Non entrando nel merito della questione (una simile questione semplicemente non ce l'ha, un merito), basta una piccola annotazione, per liquidare il tutto. Non vale minimamente la pena di badare chi, non cogliendo la piccola differenza tra un crocifisso esposto da una istituzione pubblica e statale ed un capo indossato da un privato cittadino (o da una persona, anche se priva di cittadinanza. Non vedo dove stia la differenza), dimostra di non riuscire a capire nemmeno l'abc del tema, figuriamoci le sue implicazioni più profonde.
  • Nonostante ripetute precisazioni fornite da più di un commentatore (la Corte in questione non è la Corte di Giustizia della CE, la Corte in questione non ha niente a che vedere con la CE o l'UE, la Corte in questione è stata istituita con un trattato completamente indipendente, precedente, nato in un altro contesto e con altre motivazioni, ogni possibile azione riguardo il fatto è regolato da norme apposite di diritto internazionale, quindi non dal diritto comunitario, quindi non dalla nostra voglia di far cagnara), si tira sempre in ballo l'Europa. Giusto oggi c'è stata la ratifica ceca del Trattato di Lisbona. Una cosa di quelle grandi, eh, ed importanti, per quanto sicuramente non avrà il giusto risalto e nessuno si prenderà la briga di spiegarne il valore. Tra il materiale che sto leggendo in questo periodo (e le conferenze a cui sto partecipando) molto ha a che vedere con l'Europa, il processo di integrazione, le aspettative ed esigenze future (qui a Torino è molto forte il movimento federalista). Mi è capitato più volte, solo in questi ultimi giorni, di sentire critiche al modo in cui si è deciso di procedere (detto in parole povere: più intergovernativo, gestito a livello "istituzionale", cercando di evitare, spesso, l'intervento dell'elettorato) dopo le prime bocciature referendarie, accuse all'opacità dei processi decisionali a livello europeo, richiami vibranti alla necessità di una maggiore democratizzazione di quelle istituzioni. Io non sono un europeista della prima ora, ne ho impiegato di tempo a "convertirmi" a questa posizione, è stato un percorso ricco di tentennamenti, ma ora posso definirmi "abbastanza" europeista. E nonostante tutto, non posso che preoccuparmi per il tanto seguito accademico e non che queste "anime belle" riscuotono. Non è cinismo, non è mancanza di spirito democratico: lasciamo l'Europa in mano ai cittadini, e manderemo allo sfascio uno degli esperimenti politici più importanti degli ultimi decenni. Le opinioni pubbliche non hanno mai capito questo progetto, non l'hanno mai sostenuto fermamente e con coerenza, neanche nei suoi momenti di maggiori popolarità. Non riescono a capirlo nemmeno quando comporta per loro benefici diretti ed immediati, figuriamoci quando richiede sforzi, pesi, rinunce. L'Europa è qualcosa che va portato avanti a scapito di elettorati, popoli, ecc. ecc. Gli esempi sono mille, scegliere di non guardarli è il modo migliore per far crollare la baracca.
  • Riprendendo il discorso sopra. Sarò cinico, ma in barba alla linea che va per la maggiore, io considero una fortuna, un bene ed una cosa naturale e giusta che la politica estera sia uno dei temi più "vischiosi", su cui gli umori dell'opinione pubblica hanno meno influenza diretta. La democrazia rappresentativa (che poi di democrazia indiretta si tratta, per quanto l'aggettivo indiretta ci faccia impallidire, con i sospetti che ci fa sorgere) non è solo un fatto tecnico, un succedaneo necessario della migliore democrazia diretta, quando questa per cause di forza maggiore non sia praticabile. E' un modello diverso, e per molti punti di vista migliore. Sta ad indicare che il governo, la politica, la res pubblica sono cose serie, e certo che ho la possibilità di dire la mia, e di parteciparne alla gestione, ma questo dovrebbe essere fatto attraverso un meccanismo che permetta di affidare la gestione diretta a qualcuno dotato di competenze per farlo, possibilmente migliore di me. E' la questione dell'elitismo, su cui non mi addentro, perché Sofri ne ha scritto in modo più chiaro e convincente di quanto io possa anche solo sognarmi.
  • No, non lo dico, cosa penso sul tema. Perché credo che sia possibile, e doveroso, forse, mettersi a spiegare sul perché non sarebbe il caso che i crocifissi stiano nelle scuole. Ma le motivazioni sono immediate, ovvie, risiedono nel buonsenso più che nell'argomentazione razionale. Quindi, mille sforzi per spiegare, convincere, non smuoverebbero di un millimetro chi fa muro contrario. Sarebbero impegno, energie, parole buttate al vento. Si ricaverebbe solamente un'ulteriore dose di scoramento, e ci ritroveremo a provare a nostra volta, di rimando, un certo grado di astio, che rischierebbe di far perdere lucidità alle nostre posizioni.

Appunti sparsi su sfondo giallo. Post(-it)

Ovvero: Finché non ti ritrovi invischiato in traffichi da ufficio, non diresti mai quanto delle piccole cose possano essere indispensabili.

  • Un post di quelli sconclusionati ed autoreferenziali, per punti. Per non lasciare troppo a lungo il blog non aggiornato, per tenere informati quei due che lo leggono (che non sento granché, o a cui non riesco mai a raccontare tutto quello che vorrei) di alcune nuove.
  • In barba al ciclo naturale dei prodotti, quella fase di obsolescenza che già pure aveva dato ampi segnali, e sembrava avanzare galoppante, se la batte ora in sonora ritirata. Mi (ri-)innamoro ogni giorno di più di tutto quello che ho scelto di studiare, di tutto ciò che per gli ultimi cinque anni ha ricoperto un ruolo (ora più, ora meno) importante nella mia vita. Leggo saggi, controllo la stampa internazionale, provo ad immaginare progetti futuri, e possibili percorsi per quelli imbastiti. Vorrei passare la vita ad avere a che fare con questo campo. Perché è importante, denso, vivo e vitale. Sottovalutato, sbeffeggiato, questo campo ha imparato a portare la croce, a muoversi sotto la sassaiola dell'ingiuria, tirando avanti quel carro su cui, in fondo, tutti stanno. Non potendo contare sulla solidità della scienza, né sulla inutile presunzione di sé di altre scienze sociali, non può che andare avanti a tentoni, cercando di migliorarsi passo dopo passo, senza perdere d'occhio il sentiero, tenendo a mente, e controllando, i passi precedenti. Adoro questo campo.
  • Sto cambiando. Che stia (forse) maturando? Quando mi capita di avere a che fare (di persona, o attraverso l'intermediazione con la carta) con qualcuna di quelle anime belle che sognano, sognano, e con la loro confortevole utopia occupano ogni spazio e marchiano di infamia, e radono al suolo, ogni piccolo tentativo, ogni sforzo un po' tentennante di salire almeno di un altro gradino, riesco, adesso, a trattenere uno sbuffo di sprezzante cinismo, tenere addomesticata la pazienza, usare con impegno e soprattutto volontà, ed entusiasmo, la forza delle idee striscianti, del buon senso, richiamare la multiformità del mondo, dei fenomeni, il loro intrecciarsi in modi del tutto non deterministici. Credo che sia maturare, questo.
  • Ho avuto, per la prima vera volta, fortuna. E con gli interessi, potrei dire: una botta di fortuna che mi lascia incredulo. Si potrebbe forse dire per la seconda volta, ma in quell'altro caso non sono così propenso a catalogare il tutto come fortuna. Perché se ritrovarsi spinti in modo che i nostri spazi vitali si tocchino, e si intreccino, costruire qualcosa, scegliersi ed unirsi non è certo governato dal fato; è prodotto umano. Sono riuscito ad accomodare la questione stage, quando tutto sembrava impossibile. Lo stesso, per l'alloggio. E, tra necessità e difficoltà, se ne sono uscite due soluzioni che sono ben lontane dall'essere una grigiastra ultima risorsa. La soluzione "lavorativa" (fa sempre un certo effetto chiamarla così, quando non è un lavoro) mi permette di passare il tempo a leggere e documentarmi, appunto, e visitare centri ed istituzioni che si occupano nella pratica di cose che io finora ho visto solo stampate nei libri. Di incontrare persone che lavorano in questo campo da anni, e sanno mettere una passione invidiabile in quello che fanno. Il direttore è gentile, attento, ed ho incontrato poche persone, finora, nella mia vita, che sapessero chiacchierare di politica internazionale in modo così interessante e coinvolgente. L'appartamento è bello, in una zona comoda e piacevole. Viverci è rilassante e piacevole; i coinquilini simpatici, gentili, premurosi. Se mi spaventa un po', l'idea di dover dividere casa con degli sconosciuti, per me che non l'avevo mai fatto prima, per me che ho delle abitudini e dei ritmi non molto ortodossi, beh, non potevo capitare in posto migliore, in cui potermi sentire a mio agio. Ho avuto fortuna che si trattasse di questa città, e considero la possibilità di viverci un poco un grande privilegio. A voler ben guardare, non si può nemmeno parlare di fortuna, anzi. Il tutto durerà ancora meno di due mesi, ed è iniziato neanche da uno. Già so che mi si chiuderà un po' lo stomaco, per il magone, al dover voltare una bella pagina. Sì, in fondo non c'è nessuna fortuna, nel vivere qualcosa di così bello, giusto il tempo di legarci abbastanza per stramazzare di nostalgia, quando ci sarà tolto. E nessuno mi citi Byron, per dio.
  • Per la prima volta mi sono davvero convinto che sia possibile coniugare e far convivere il "I know what's right, i got just one life", con tutto ciò che questo lascia intendere, al di là del senso concreto che ricopre nella canzone (I won't back down), ed il "se la vita è una sola, stai in campana" (Stai in campana). Di più, che sia fondamentale, e doveroso, farli convivere, per chi vuole sfruttare al massimo le opportunità sotto il sole. E la soluzione è un po' quella indicata dal famoso aforisma sulla libertà (la mia libertà finisce dove comincia quella dell'altro, etc). Una frase che ad un amico non piace per nulla, ma che, in fondo, ripulita da quello strato di retorica incrostata, mi ha sempre affascinato. Perché se la prendiamo dal lato "assolutizzazione del relativo" (detta in modo spiccio: questa cosa è piccola e relativa, piena di limiti e confini, di se e di ma, ma facciamo finta che sia una cosa enorme, la più grande di tutte, mettiamola a fondamenta della nostra civiltà come moloch granitico, intoccabile), beh finisce per sembrare una stronzata ovvio (ops. L'ho detto. Ho detto la parola con la S. Facciamo finta di niente). Ma c'è pure l'altro lato, la "relativizzazione dell'assoluto" (di nuovo in modo spiccio: questa è una cosa grandissima, importante, necessaria, cioè che caratterizza più di molte altre cose il nostro sistema. Ma è grande nella misura in cui, passando dalla filosofia, dalla retorica, ed entrando nella realtà, nel vissuto, sa spogliarsi dell'autoreferenzialità, della violenza, sa mischiarsi con il buonsenso e la tolleranza, sa "sporcarsi le mani" con il mondo, adattarsi, riempire ogni spazio libero, e non crollare come un blocco di pietra, dal peso insopportabile, che finisce per schiacciare tutto. La libertà è laica, o non è, si potrebbe dire). Non divaghiamo. Dicevo, queste due linee, per certi versi opposte, possono convivere, ed è proprio questa la ricetta. Ampliare, gonfiare l'una, il più possibile, fino all'ultimo centimetro prima del confine ultimo, in cui finisce per toccare l'altra. Un sapiente gioco di bilancini ed equilibri. C'è un tempo per osare, ed uno per aspettare. Ed è sempre tempo di evitare gli estremi.
  • Il profilo di rigido controllo economico è un ottimo approccio al mondo artistico. Boom. Parole grosse. Ma pensateci un attimo. Anche adottando un metro di giudizio rigorosissimo, scremando le opere dal valore mediocre o perfino solamente "discreto", dai veri capolavori, rimane una massa così enorme dall'essere assolutamente eccedente rispetto ad ogni nostra disponibilità di tempo, energie e denaro. E non è possibile trovare un modo razionale ed intelligente di selezionare intellettualmente ciò su cui concentrare la propria attenzione, a meno di non autoilludersi, e prendere per buona una sistemazione non convincente, in realtà. Per quanto riguarda me (ma mi guardo bene dal consigliare questa soluzione in giro), trovo che l'adozione di un parametro economico (compensato, certo, non assoluto) sia un criterio migliore di tanti altri. Per 10,90 mi sono portato a casa una raccolta (quintupla!) della regina del fado, Amalia Rodriguez; per 15 circa quattro libri usati, Il demone e La croce buddista di Tanizaki, Il padiglione d'oro di Mishima, L'isola del dottor Moreau di Wells.
  • La lista, su un quadernetto, dei post da scrivere è diventata decisamente lunga, saremo a quota otto o nove, credo. Principalmente a tema musicale.
  • Sto iniziando a perdere un po' di capelli, pare. Stanno iniziando ad ingrigirsi, pure. Il dramma, in tutto questo, è che il tasso di velocità del primo fenomeno sembra essere più veloce di quello del secondo. Rischio, potenzialmente, di ritrovarmi pelato prima di aver avuto la possibilità di diventare un fascinoso brizzolato. Sono cose che fanno riflettere.

venerdì 23 ottobre 2009

New York Telephone Conversation


-Pronto, Renato? Sono Io. Guarda, sto chiamando un po' tutti, ho visto questa cosa. G-e-n-i-a-l-e! E mi è venuta un'idea, dobbiamo proprio lavorarci su. Come? Ah, cosa intendo? Non ci crederai, ma ho visto una cosa. E' tipo un carro, ci butti dentro della benzina, e questo va da solo, eh! Ma veloce, dovresti vederlo! Fidati, garantisco io, la più grande invenzione of ever. Non troveranno mai niente di meglio. E qui ti arrivo io, giustamente, con un'idea fenomenale. Quest'aggeggio, fantastico, giusto un po' scomodo per la manovella da girare ogni tanto, ha tutti i pregi del mondo, ma non va sull'acqua. Per cui ho pensato, per quell'isoletta laggiù: un bel ponte! Come dici Renato? La Sardegna? Mah, son strani quelli, e se ne stanno lontani, per conto loro...e poi senti, si son voluti Soru, fino a poco fa? Che si arrangino, va'! E non mi interrompere, cavolo! Dicevo, facciamo un bel ponte, serve un po' lungo, vabbè, ma in qualche modo facciamo. E poi sai cosa? Ascolta la trovata. Quand'è finito, e lo inauguriamo, ci passo per primo io, a piedi (un pezzo Renato, giusto per la scena), arrivo, con tutta la folla festante sotto, alzo le mani e faccio: avete visto? E l'abbiamo fatto per voi, perché io potevo anche camminare sulle acque. Che forza, eh, Renato!
Come? Cosa dici, Renato? Parla chiaro, cavolo, che non ti capisco. L'internetto? Veloce, per tutti? Aah, Renato, lasciami perdere 'ste mode cavolo, che poi passano! T'ho detto che l'ho già trovata, l'innovazione più grande di sempre.

(Lo dico chiaro e tondo, mi vendo spudoratamente. Se Renato mi sostituisce il 56k con una rete ADSL, diventa il mio ministro preferito. Of ever)

venerdì 16 ottobre 2009

Qualche novità, sul fronte occidentale


Quel cambiamento di cui si parlava, qui e lì, su questo blog, prima o poi ti piglia. Ti passa alla centrifuga, e sei hai la forza (od il culo, diciamocelo) di uscirne tutto intero, ti lascia una pungente, ma piacevole, sensazione di spaesamento e barcollamento. Come un tagadà, od un paio (è un po' di più, lascio?) di birre buone.

Dopo aver chiuso un primo capitolo (come, cripticamente, da post precedente), si è riusciti ad aprirne un altro, nonostante sia sembrato quasi impossibile, prima un passo e poi un altro, che non volevano saperne di lasciarsi ammansire. Pane (insomma) e tetto, perché dopo tutto sempre questa rimane, la lotta per la sopravvivenza. In scala minore, ovviamente, perché tutti sembrano considerarci ancora troppo "piccoli" per la vera vita, quella cinica e bara, e forse abbiamo finito per crederci anche noi.
Ho trovato un posto, da solo. C'entra, davvero, con quello che ho studiato fin qui. Il mio compito si prospetta stimolante, una sfida per molti versi, avrà certo un andamento altalenante, come impegno, e per ora si è trattato della fase di secca. Si aspettano i tempi migliori, ed intanto ci si gode una città austera e decadente, la possibilità di veder passare di fianco a te nomi che finora avevi solamente potuto leggere sui giornali, la sensazione lasciata sulla pelle dall'esplodere delle bollicine frizzanti, là dove sgorgano le idee (e sui giornali, di ciò che ha detto Draghi, c'è stata una gran strumentalizzazione).

E non poteva che accadere sul fronte occidentale, tutto questo. Perché su quello orientale sono le piccole truppe, con le armi giocattolo, a muoversi, a mimare la guerra, ma tutti sanno che è solo un espediente, un'altra linea su cui tenere impegnato il nemico, sfiancarne la forza, spezzarne la tenacia, ma da cui non si può cavare nulla di buono. Lo sanno tutti, tranne quei miseri generali schierati, le capocchie di spillo che pensano di poter essere nuovi Napoleone.
Non poteva che essere ad Ovest. Verso Occidente l'Impero volge il suo corso. E seguendo il sole si muovono tutte le migrazioni, nella speranza di trovare là un posto un poco più caldo.
Ci siamo uniti ad una carovana, allenando i nostri occhi a seguire orme, a scovare sentieri, a spaziare per le praterie. Ci siamo creduti pioneri, ma nel nostro piccolo, con garbo. Ché tanto, arriverà il nuovo anno e sarà tutto finito, ma almeno è stato. Avremo giocato a fare i grandi. Combattere una battaglia, mandare avanti una casa, essere dottori del sé.

Io provo e cado e provo
e ritto sto per un momento...
e bevono i miei occhi i voli, i salti
le mie foreste e gli altri.
E dove l'aria in fondo tocca il mare (beh, non proprio...)
lo sguardo dritto può guardare.

(Avrei potuto mettere Abramo non partire, non andare, non lasciare la tua casa, cosa speri di trovar; ma che sia chiaro, che non si porti sfiga qui)