martedì 20 ottobre 2009

Non escludo il ritorno

Faccio outing. Tanto qui, a raccontarci le nostre cose, siamo in quattro gatti. E' un outing sussurato diciamo, un po' biascicato. Da paraculi, a voler essere sinceri; se vi girate e mi chiedete che ho detto, sono bell' e pronto a negare.

A me piace il calcio. Il calcio mi piace molto, se vogliamo dirla tutta. Certo, c'è stato un recente ritorno di fiamma, che mi permette temerariamente di uscirmene con questa sparata.

Mi piace il calcio per due motivi. Per il suo tatticismo esasperato, capace di ammazzare anche il genio, lo spettacolo, la grinta e la voglia. Per quell'ammassarsi di numeri, statistiche, schemi e movimenti, con l'intento di preparare la battaglia fino all'ultimo dettaglio.

Mi piace il calcio perché è mitologia. E' un intreccio di storie, di casi, di fatti umani. E' una galleria di eroi che eroi non sono per nulla. Perché diciamocelo, questi corrono e calciano una palla. Ma eroi lo diventano, un po' per quel loro considerarsi tali, al di là di ogni evidenza, del più comune buonsenso, di un anche misero senso del pudore. E lo diventano per ciò che riescono a scatenare in tante persone.

Ripenso un attimo alle mie mitologie da bambino. Guarda caso, spesso avevano a che fare con l'Africa. Quel marziano di Phil Masinga, l'abissale inutilità di Ba, la stolida grandezza di West, la mia passione per Mboma e quell'enigma inspiegabile di Jay-Jay Okocha. Mi ricordo che mi innamoravo dei giocatori più improbabili, eppure non era una posa. Mboma, appunto. Rapaic, quel genio inafferabile di Nakata, bisognerebbe raccontarla la sua storia. L'indomabile Schwoch. Dovrei scriverne ogni tanto, un'epica figura alla volta.

Forse non lo farò mai, e spererò che questo outing sia caduto nel vuoto. In fondo, era giusto una scusa per dire che oggi è tornato. Lui era il più grande di tutti, per me.

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