lunedì 16 novembre 2009

Me and you and everyone we know try to survive


C'è una sorpresa, all'angolo, tra la strada della fermata e quella dell'ufficio. Un musicista di strada si destreggia nel suo armamentario di trucchi per attirare l'attenzione dei passanti frettolosi. Mi dispiace per lui, in fondo: hai proprio sbagliato momento, amico, a quest'ora tutti corrono in ufficio. Il minuto, poi, il meno adatto. Non lo sai che proprio in questo preciso minuto tutti quelli che ti passano davanti, anche la folla in cui muovo, appena scesa dal tram, appartengono solamente a due categorie di persone? Dovevamo essere in ufficio ormai da un po', e ci affanniamo per ridurre il ritardo, tanto perché le solite piccole scuse possano risultare credibili. Oppure dobbiamo essere lì tra poco, siamo di quelli precisi noi. E non vogliamo sgarrare di un secondo, ovviamente. Non abbiamo proprio tempo per te, non possiamo, mi spiace. Anche se avresti i numeri per essere un grande spettacolo.

Sei vecchio, e non c'è rischio che tu possa sentirti offeso da questo appunto. Lo sai benissimo anche da te. Che ci fa un vecchio, in queste giornate fredde, su uno sgabellino, per strada? Che domande, stringe il suo violino, ovviamente. Se fossi una di quelle persone che percorrono questa via in un altro orario, se fossi, per dire, uno di quelli che passano mezz'ora più tardi, senza questa fretta umida addosso, avresti voglia di chiedergli qual è la storia, di questo violino. Come gli è finito in mano, attraverso quali casi della vita, coincidenze e necessità. In mano ad un così improbabile musicista, che si comporta in modo così inusuale. Non ha la mente immersa in chissà quali melodie, non insegue una vana ispirazione, lontana da queste strade, estranea a queste persone. Con mano ferma muove l'archetto sulle corde solo quando vede passare nei paraggi un gruppo consistente di persone. Non finge di impegnarsi in chissà che scale, muove l'archetto senza sentire il bisogno di cavarci qualche nota in particolare, qualche battuta. Il suo non è suono di arie, o mazurke, o sonate, è suono di corde che vibrano, perché scosse. Il testo che le accompagna un piccolo mantra, buongiorno, buongiorno, buongiorno. Ripetuto finché non sei troppo lontano. E' musica un poco strana, ci metti un attimo ad inquadrarla: post-punk? Potrebbe essere noise-jazz (esiste, il noise-jazz?), ammesso che non si pretenda alcuna coscienza dal noise in questione. Nel testo rieccheggia un po' di quell'isterismo della letteratura del Novecento, ma non saprei dire di più. E', forse, che qualche moneta gli fa comodo, ed è quella la musica che meglio esprime questa ispirazione e questa sensazione da trasmettere. Un piccolo preciso spettacolo, senza tutta quell'arte a ficcarsi in mezzo, un modesto tentativo di attirare l'attenzione, trasmettere un messaggio, incassare quello che dal messaggio deriva. Un poco, giusto quello che c'è, commisurato all'impegno, in fondo, nulla di più.

La sera staccherò prima degli anni, in fondo il mio non è un vero lavoro. Non dovrei essere imbottigliato nella folla, come al mattino. Dovesse esserci ancora, la mia moneta se la sarebbe guadagnata. Avesse fatto un disco, glielo comprerei. Difficile trovarlo di nuovo, però; spero in domani. Io, da canto mio, avevo iniziato a suonare l'angolo del biglietto del tram, accartocciato, appena salito sul tram. Abbiamo tutti la musica dentro, dicono, amico, anche se non c'ho mai creduto granché.

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