domenica 4 luglio 2010

Warning+spoiler: chiacchiere egocentriche

Non è un post per Alessie.

In quest'epoca non ci sono più certezze, uh? Non si sa più dove si sta andando, una strada sembra valere l'altra e la cosa comica è che questo casino l'abbiamo creato, paradossalmente, volendo mettere troppi cartelli ed indicazioni, per fare chiarezza, ed ora in questa babele sembriamo incapaci di riuscire a leggere giusto il cartello che servirebbe a noi. Non è che le certezze vacillino, sono proprio crollate, e mica dal 2001, almeno da Londra e Dresda. Come direbbe Bloch, non c'è più niente da ridere dal '43.

Giusto per cercare di capire quello che mi gira intorno, mi sto adeguando anch'io a questo trend. E vedo in crisi due credenze su cui avevo sempre potuto contare. Da buon modernista atipico, mi sono sempre guardato dall'idea di progresso che si presumeva avvolgere la società (coccolo di mio un'idea molto più sensata e simpatica di progresso, un progresso buontempone e un po' confusionario, dovreste conoscerlo, ne vale la pena) ma, giustamente, mi tiravo fuori dal generale, e nel particolare credevo nel progresso di me stesso. Comunque andassero le cose, mi sembrava di diventare sempre migliore rispetto a quello che ero prima; semmai il problema poteva essere il tasso, di questo progresso, che la maggior parte delle volte finiva per essere inferiore al desiderato, al previsto, al richiesto; ma, insomma, a conti fatti non potevo lamentarmi. La seconda certezza, in parte legata alla prima, era che, al diavolo, fossi un gran bel pezzo di interlocutore. Mi cullavo nell'auto-convinzione che, per quelle poche persone che riuscivano a tirarmi fuori dal guscio di mutismo selettivo che mi prende, di tanto in tanto, dovesse essere comunque piacevole parlare con me. So adattarmi ad argomenti, timbri e situazioni; ho -io- un rapporto non proprio disastroso con ironia e sarcasmo ma, quando serve, riesco a cacciarle in un angolo, dimostrarmi comprensivo e perfino sensibile; soprattutto, riesco a mettere da parte un certo armamentario di idee e convinzioni, riesco a spiegarle con un discreto rigore logico, e sono disposto a metterle in gioco, anche. Beh, giusto per smontare questo auto-incensamento, mi riconosco sempre meno in una descrizione simile. Penso c'entri molto il fatto che negli ultimi anni mi sono aggrappato sempre più a rapporti in cui l'ironia e il sarcasmo di cui parlavo prima finivano per diventare il tono principale e, devo dirvelo, non sono più così convinto che abbia tutto questo gran senso, il motto castigat ridendo mores. Va a finire che a forza di ridere e ridere, senza neanche accorgervene, diventate delle iene, e non vi riesce più di parlare con gli altri mettendo in gioco un briciolo di sincerità, e di umanità.

E' che è salita di molto la mia soglia di intolleranza, superata la quale mi viene più semplice sbeffeggiare, che dialogare. E' che mi sembra dovrebbe esserci almeno qualcosa dato per pacifico, un abc che non si mette in discussione. C'entra anche il fatto che ci siano per me dei tasti sensibili, e uno di questi è tutta questa infatuazione per il mito del buon selvaggio, dell'età dell'oro andata perduta, del paradiso terrestre che c'era e ci siamo dovuti mettere in testa di perdere. E' roba per Rousseau, questa, io no grazie, salto il turno. Davvero, non ci riesco. Non riesco a prendere seriamente gli "ah, una volta, signora mia, le cose andavano meglio" e i "si stava meglio quando si stava peggio", e a dialogarci. Non nelle forme più degenerate, che so, certe forme di terzomondismo e di esotismo, o quell'amore smodato per una presunta innocenza dell'infanzia. Vogliamo dirla tutta? Senza curarci di essere cattivi, o stronzi? Beh, lo sapete perché i bambini fanno ooh? Perché non capisco un cazzo, sono stupidi, e per molti versi sono più vicini alle larve, che ad un senso compiuto di umanità. Questa presunta quintessenza di purezza che riconoscete loro è al tempo stesso direttamente legata al fatto che non sappiano stare in piedi saldamente, controllare decentemente il proprio corpo, che non capiscano niente (o molto poco), del mondo che li circonda. Grazie a dio viene il momento in cui la smettono, di fare ooh, e cominciano ad essere in grado di fare discorsi più articolati, imparano a stare saldamente sulle proprie gambe e sostituiscono la sorpresa ebete che li coglie di fronte ad ogni fenomeno con la comprensione dei fenomeni che li circondano (o per lo meno con la consapevolezza di dover tendere, verso questa comprensione).

Ma non mi riesce nemmeno con le forme più raffinate, elaborate, intelligenti. Perché, dai, davvero, alla fine di tutto è questa la questione? La perdita dell'ordine, dello scopo, del senso. La complicazione di tutto, e l'inquietudine che ne deriva?
Di una vita che nemmeno doveva interrogarsi, sul senso: nascevi e lavoravi, crescevi e lavoravi, ti sposavi e lavoravi, mettevi al mondo dei figli e lavoravi, invecchiavi e lavoravi, morivi infine e via, nelle grandi braccia accoglienti di Nostro Signore Iddio. Dovevi solo essere buono.

Sarebbe stato il sorriso stupido e vacuo dell'ebete, ma sarebbe stato comunque un sorriso.
(Mi verrebbe da notare che molti invece lamentano il fatto opposto, che in questa società non ci è dato che accettare il senso che l'ordinamento stesso ha stabilito, che l'uomo non può uscirne ma deve obbedire e seguire il nastro trasportatore costruito per lui. Ma facciamo che non lo noto).
E dire che io credevo fosse il caso di fare un minimo di festa, con tanto di trombette, per questa "conquista". Che valesse la pena fare qualche capriola di giubilo (prima di recuperare il dovuto aplomb, ovviamente) per il fatto di non essere più costretti a dover accettare un senso costruito a scatola chiusa, che ci fosse una buona volta concesso il lusso di trovarcelo da noi un senso, di indagare, ricostruire, esplorare e scoprire. Mi sembrava fosse una libertà non di poco conto; e se ha un peso, beh, allora? Era forse scritto da qualche parte che non dovesse averlo? Mi sembrava carino, che ognuno potesse cercare e trovare il proprio senso, e che alla luce delle ricerche, dei pensieri e delle indagini, si potesse scegliere perfino un senso sensato, rispetto a quei sensi sbilenchi che erano stati rifilati a miliardi prima di noi. E, se alla fine del giro in giostra, fosse saltato fuori che un senso non esiste in fondo, non è che forse possiamo rallegrarci di aver scoperto questo dato di fatto, invece di starcene tutti scomodi compressi dentro un senso fittizio? Guarda che a starsene a lungo costretti in posizioni non naturali se ne viene fuori tutti anchilosati.
Come? Tutto questo potrà anche essere vero, ma alla fin fine, guardando agli effetti concreti, una massa di diseredati -noi!- che brancola a tentoni perché se lo deve trovare, questo senso, e non lo trova più confezionato nei discount, sperimenta la difficoltà del vivere, la confusione e il paradosso dell'esistente, sguazza nell'inquietudine, nella depressione, nel vuoto che sembra circondarla? Ma scusa, e se per caso la vita non fosse che un caos ed un vuoto che inquieta? Non sarebbe questo stato semplicemente coscienza, comprensione, concezione di sé e dell'esistente? E se anche fosse che qualcuno si perde, in tutto questo, non è comunque un passo avanti che ci sia concessa la possibilità di inoltrarci fuori, alle intemperie e al gelo, per poter seguire la strada che vogliamo? Perché alla fin fine questa è un'opportunità, eh, che sta davanti a chi vuole coglierla, ma in fondo nessuno c'è spinto dentro, l'opzione di lasciar perdere tutto questo, e rincantucciarsi in un angolo di senso prestabilito e prefabbricato, in cui vivere a scatola chiusa, c'è sempre. Guardati attorno: è pieno così di gente che continua imperterrita secondo lo stile old school.
E per noi che non ci riusciamo, davvero il bandolo della matassa è il sorriso ebete? (Perché su questo c'è poco da discutere, quel sorriso è proprio ebete). Seriamente, siamo davvero qui a interrogarci se possa convenirci barattare tutta l'inquietudine che ci portiamo dentro con un sorriso ebete? Vale di più un sorriso ebete stampato 24 ore su 24 su questi nostri visetti, belli ed intriganti, che i nervi tesi quasi di continuo ed un solo timido sorriso, intelligente però, che riusciamo a sfoggiare ad ogni morte di papa, e che poi sfugge presto? Certo, c'è sempre da tenere in conto la possibilità che non arrivi mai quel breve momento (eh, a me non capita da parecchio, ad essere sinceri) ma a questo punto ho io una domanda: non è che forse i sorrisi sono un po' sopravvalutati, al giorno d'oggi?

(visto che in apertura c'è Perle ai Porci, devo dirlo: a me questa serie continua sempre a piacere da matti, anche quando smonta tutto quello che dico. http://comics.com/pearls_before_swine/2010-07-04/)

4 commenti:

  1. Cavolo Monarca, sei proprio impietoso, nemmeno quando uno è disposto a riconoscere i limiti del proprio ragionamento. Tempo fa, alla domanda: è questo il migliore dei mondi possibili? Avrei risposto: no, si stava meglio quando si stava peggio. Ora la mia risposta sarebbe: questo è probabilmente il migliore dei mondi possibili, ma quello che gli lamento è il senso generale, lo scopo. Che poi, questo scopo, sono anche disposto ad accettare il fatto - però forse non ero stato così chiaro - che dipenda solo dai ricordi della mia infanzia, e quindi da un vissuto personale che cerco di mitizzare. Più equilibrato di così, ma scusa ... ^_^

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  2. Comunque come si fa, sotto sotto, a non apprezzare una tecnologia che ti mette a disposizione una vignetta di Perle al giorno?

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  3. Eh, sei tu che cerchi di fare il duro e l'impassibile. Io per la tecnologia ho sempre smaniato, con tanto di versetti imbarazzanti da marinaretta giapponese, e occhi a cuoricino. Hai iniziato a seguire Perle? Dovresti! Consigli di un fan istantaneo di lungo corso. (Anche il blog dell'autore è fantastico).

    Venendo all'altro discorso. Impietoso lo sono sempre stato, soprattutto se i limiti si trovano nella conclusione del discorso. Perché vabbé il senso, ovvio, l'umanità lo rincorre da millenni. Faccio outing? Lo rincorro anch'io. E, da buon cinico, non mi faccio certo scrupoli e non arriccio il naso se salta fuori che, per avvicinarcisi, bisogna fare parecchi compromessi e sporcarsi molto le mani. E' che continuo a vedere comunque dei limiti, sul livello di compromessi da accettare. Il sorriso ebete è molto al di là.

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  4. E comunque, dai dillo che era una risposta proprio bellina e piena di ottime citazioni. :)

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