mercoledì 27 aprile 2011

Necrologi e arringhe.

Ormai ci sono più parole di Zadie Smith che mie, qui. Ma questa volta è per avvisare che ho raggiunto il livello ultimo di ossessione per un autore. Non ci sarebbe bisogno di ricordare che questo livello non può, giocoforza, essere oggettivo. Non è quindi quando compri l'ultimo libro mancante, e hai tutto quello che è stato pubblicato in italiano di suo. Non è quando hai letto tutto quello che è stato ecc. ecc. (anche perché a me manca qualche centinaio di pagine, per arrivarci). Non è nemmeno quando inizi a prendere in seria considerazione di procurarti, di qualche opera, la versione in lingua originale per scoprire com'è veramente, originariamente, quel passo che hai tanto amato, per il tuo piacere personale (soprattutto se sei in attesa che esca qualcosa di nuovo) e per un'idea sgangherata di rispetto per l'autore.

E' quindi qualcosa di soggettivo. Ma anche qui ci sono parecchi gradi. Non è quando scopri che in quella frase o in quel passaggio l'autore/trice ha espresso esattamente quello che pensi tu, riguardo l'argomento in questione, in un modo così chiaro e preciso che a te non sarebbe mai riuscito (non si può dire più correttamente di così, cit.). O quando addirittura lo dice con le parole che useresti tu (che credi useresti tu). E non cambia niente quando in questo giochino raggiungi i cento punti. Non è nemmeno quello. Non è quando (inizia ad essere irritante, ma seguitemi ancora un attimo) ti capita di sentire, per qualche personaggio, un grado di preoccupazione, di ansia e di empatia più grande di quanto ti sia mai capitato per un numero non indifferente di persone reali che conosci. Di persone a cui vuoi bene, perfino!

E' quando ti ritrovi convinto che quello, la persona in quel determinato passaggio, sei tu. Non è un pensiero che hai avuto. Nemmeno il pensiero più importante che tu abbia mai avuto. Non la tua idea del mondo, la tua filosofia, la tua ideologia. Non una persona che ti sembra più vera del vero, e qualcuno a cui ti affezioni, e che se potessi ti ci aggrapperesti di peso, con egoismo, per trattenerlo nella tua vita più a lungo possibile. Sei tu. L'autore ha messo te in un suo libro. Se riuscissi a recuperare almeno un briciolo di ragionevolezza, in tutta questa follia, potresti laicamente rallegrarti all'idea che in una piccola sfaccettatura, in un momento, l'autore sia stato così simile a te. Oppure che quel genere di persona, il genere di persona che tu sei, ha fatto breccia tra le sue conoscenze, le sue amicizie, ne ha fatto esperienza, ed eccola rielaborata su pagina. Potresti goderti la convinzione -ora assolutamente provata- che in altre circostanze saresti potuto perfino essere amico di questo autore. Ma non lo fai. E' il culmine dell'esaltazione e non è ammessa nessuna forma di scetticismo e nessuna concessione al buonsenso. Quello sei tu.

(visto che ormai nessun piacere è più pieno e perfetto -ah, i buoni piaceri di una volta- arriva il lato amaro di questa rivelazione. Ripensi alle occasioni in cui, di queste epifanie, sei stato testimone. Quando è capitato ad altri, con altri autori. Ti torna in mente tutto il fastidio -e quella punta di disprezzo- che hai provato. Te ne penti, sinceramente.)

"Il minimo che può fare, al cospetto di quel genere di autentiche palle (le palle di chi si è suicidato, ndb. Corsivo già presente nel testo), è diventare egli stesso una persona di peso. Alla rotatoria, in attesa del momento opportuno per attraversare, Alex cerca di immaginare il discorso che potrebbe pronunciare in propria difesa se la sua vita fosse messa sotto accusa, se cioè fosse costretto a dimostrare di valere qualcosa. E' una specie di testo immaginario che si porta sempre dietro, assieme al proprio necrologio, perché da qualche parte nella testa di Alex egli è la persona più grande e famosa mai vissuta su questa terra. E in quanto tale, deve difendersi dalla maldicenza non meno che dall'oblio. Chi potrebbe farlo, altrimenti? In fin dei conti, Alex non ha fan."

Zadie Smith ne "L'uomo autografo".

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